Corona scrive a Lele Mora: “Ti serviva aiuto, e io non c’ero”

Pubblicato il 22 Giugno 2011 - 20:06 OLTRE 6 MESI FA

MILANO – Fabrizio Corona non si è dimenticato del vecchio amico Lele Mora e, ora che l’agente dei vip è caduto in disgrazia (è stato arrestato per bancarotta fraudolenta), gli ha scritto una lettera.

Il paparazzo ha ricordato il momento in cui si sono conosciuti, e i tanti momenti passati insieme, compreso quello della “rottura”. Poi fa quasi un mea culpa: “In tanti gli hanno voltato le spalle, compreso me”. Infatti, ricorda Corona, “al momento del bisogno lui c’era sempre stato, ma quando poi è stato lui a chiedermi aiuto, io non c’ero”.

Ma in fondo ammette di voler bene all’uomo che l’ha lanciato nel “giro che conta”.

Il sito di Leggo ha pubblicato la versione integrale della lettera.

“Sono passati tanti anni da quel pomeriggio in cui mio padre tramite l’ex photoeditor di Chi, Alfredo Chiesa, mi prese appuntamento alle 4 del pomeriggio in viale Monza 9. Facevo il giornalista, scrivevo, ma soprattutto lavoravo presso la casa di produzione che mio padre aveva appena aperto. Producevamo un programma che si chiamava Olimpia su Telemontecarlo: fu la Rai ad acquisirla e, secondo le leggi bigotte e stupide dei rapporti di nepotismo e raccomandazioni vigenti in questa buffa azienda nazional-popolare, fui costretto a trovarmi un lavoro.

Fu subito gentile con me, forse si innamorò a prima vista. In quel momento lui era il Divino, il Re Assoluto. Gestiva i più grandi: Simona Ventura, la Estrada, la Casalegno, la Ferilli, De Sica… Io, assistente provetto, lo accompagnavo a tutte le riunioni: Lele faceva i palinsesti Rai e Mediaset e spostava i suoi artisti come pedine da un’azienda all’altra, da una rete all’altra, mettendoli sempre nei posti e nei programmi più di spicco. Aveva ville stratosferiche in Sardegna, i suoi pranzi e le sue cene erano minimo da 30 persone e pagava sempre lui. Il budget dei suoi regali natalizia ammontava a un milione di euro, accontentava sempre tutti. Ha tolto sempre a sé stesso per dare agli altri, compreso me. Lele viveva alla giornata, spendeva oggi pensando che domani avrebbe guadagnato ugualmente.

Che a ogni tipo di problema avrebbe sempre trovato una soluzione: non aveva limiti. Quando io ridendo gli chiedevo “E se poi diventiamo poveri?”, lui rispondeva: “Non succederà mai, amore mio”. Da allora ne sono successe di cose, sono cambiati i governi, i politici, le televisioni… Tante fregature, tante umiliazioni e soprattutto tante delusioni. La prima su tutte Simona Ventura e poi tante altre… compreso me.

Soprattutto me, perché al momento del bisogno lui c’era sempre stato, ma quando poi è stato lui a chiedermi aiuto, io non c’ero. Mi ha dato tutto, mi ha sempre messo al primo posto: ma il mio carcere e la nostra indagine hanno rappresentato un punto di rottura. Eravamo innocenti, ma forse eravamo diventati troppo potenti. E questo ci ha portato alla rovina: sono entrato che ero un bravo ragazzo e sono diventato cattivo. In due anni ne ho combinate di ogni. E quando ho toccato il fondo ho deciso di ripartire e il primo tassello è stato cancellare il passato: da un giorno all’altro non ho più frequentato né lui, né tutta la sua gente. Mi sono rimboccato le maniche e ho ricominciato. Dopo anni di silenzio ecco la sua chiamata, il mio silenzio. Sarò stato egoista ma ricominciare con lui sarebbe stato come riprendere in mano tutto. Poi a Natale sono stato a casa sua per fargli gli auguri perché durante le feste si sente il bisogno di stare vicino alle persone care. E lui mi è caro.

Ma non era più la stessa cosa: forse i troppi colpi, i troppi problemi, le troppe delusioni lo avevano ferito troppo. Ieri eravamo in riunione. Il mio direttore mi dice: “Aspetta aspetta: ordine di arresto per Lele”. Mi si gela il sangue: ho fatto qualche telefonata, niente da fare, lo stavano già portando in carcere. La stessa sera mi sono ritrovato al ristorante, con la sua famiglia, i suoi collaboratori, tutti distrutti.

ÒLa sua guardia mi ha raccontato una cosa che mi ha messo una tristezza unica: Lele non ha mai chiesto niente a nessuno, ma mentre lo portavano via ha scritto un sms a un amico, la sola persona a cui poteva rivolgersi: aiuto aiuto, aiuto… Oggi non riesco a smettere di pensare a lui, ma non voglio immaginarlo disperato in quella cella. Il Lele che conosco ha su il grembiule e un gran sorriso. E cucina per tutti i suoi compagni di cella, li intrattiene, gli da i consigli giusti per riuscire nella vita. Perché sono convinto che uno come lui è impossibile inventarlo. E soprattutto e impossibile distruggerlo…