C’è il diavolo in Vaticano. Parola di esorcista

Pubblicato il 10 Marzo 2010 - 16:27 OLTRE 6 MESI FA

Padre Gabriele Amorth

Anche in Vaticano c’è il diavolo. Padre Gabriele Amorth, l’Esorcista con la “e” maiuscola, con settantamila casi affrontati in quasi 25 anni, sembra esserne convinto. Sostiene che anche il Papa lo sa e crede in pieno nella pratica della liberazione dal Male. «Naturalmente è difficile trovarne le prove ma se ne vedono le conseguenze – spiega padre Amorth a Repubblica – Cardinali che non credono in Gesù, vescovi collegati con il demonio. Quando si parla di “fumo di Satana” nelle Sacre stanze è tutto vero, anche queste ultime storie di violenza e di pedofilia».

Gabriele Amorth, sacerdote paolino nato a Modena, laureato in Giurisprudenza, ex partigiano, medaglia al valor militare, democristiano di scuola dossettiana ed ex direttore del giornale mariano “Madre di Dio”, è il più famoso liberatore del demonio al mondo. Ma com’è il diavolo? «E’ pure spirito, è invisibile. Ma si manifesta con bestemmie e dolori nelle persone di cui si impossessa. Può restare nascosto o parlare lingue diverse», spiega Amorth.

Il Maligno può manifestarsi con violenza. Nella stanza prescelta per le sedute, c’è un lettino con le corde per legare l’indemoniato e una poltrona per le persone che non urlano e stanno tranquillamente sedute durante le preghiere di esorcismo. «Dalla bocca può uscire di tutto – racconta – pezzi di ferro lunghi come un dito ma anche petali di rosa. Certi posseduti hanno una forza tale che nemmeno sei uomini riescono a trattenerli, così vengono legati».

Sulla pratica dell’esorcismo, però, dentro la Chiesa, esistono opinioni diverse, diffidenze, resistenze, dubbi. «Ma il Papa ci crede, incoraggia e loda il nostro lavoro», ribadisce padre Amorth. E il diavolo può colpire anche il Pontefice? «Ci ha già provato. Lo fece nel 1981, con l’attentato a Giovanni Paolo II, lavorando su coloro che armarono la mano di Ali Agca. E anche adesso, la notte di Natale, con quell’ultima matta che ha buttato per terra Benedetto XVI».