Bettega e gli scudetti “sul campo”. Un “cattivo maestro” in cattedra Juve

Le dichiarazione del neo dirigente bianconero: “Non rinnego nulla, io so che quegli scudetti sono nostri”
Roberto Bettega è tornato alla Juventus

Roberto Bettega, tornato ad occuparsi di Juventus ai massimi livelli, ci tiene a far sapere che “non rinnega niente”. Per chi non avesse capito, precisa: “Guardo quei ragazzi e so che quegli scudetti se li sono meritati sul campo”. Insomma per il nuovo dirigente le sentenze della giustizia sportiva e quelle della giustizia ordinaria sono menzogna, inganno e truffa. Qualcosa di fronte a cui il vero juventino deve ribellarsi, qualcosa che non vale, che è carta straccia. Se i Tribunali dicono che c’è stata “associazione a delinquere”, Bettega non “rinnega nulla”. Se il tribunale sportivo ha revocato scudetti e mandato la Juve in serie B, Bettega “sa” che quegli scudetti sono veri e genuini.

Non va sottovalutato il “Bettega-pensiero”. Non è pensare “tifoso”, è pensare eversivo. Sostenere che l’unica e sola legittimità è quella fatta in casa, diffondere e benedire l’idea che c’è un’altra legge, quella “bianconera”, più forte e più vera della legge “degli altri”, è la stessa cosa che gridare in curva e in tribuna “devi morire!”. E’ un grido ritmato ed organizzato contro ogni forma possibile di convivenza. E’ un grido di guerra che viene raccolto, grido lanciato da un cattivo, anzi pessimo maestro. E il guaio suppletivo è che i tanti Bettega d’Italia si giustificano, si coprono con la bugia non pietosa che “stanno parlando di sport”. Evangelicamente vorremmo perdonarlo questo Bettega, con l’argomento che “non sa quello che fa”. Invece lo sa benissimo: diffonde cultura tribale, fa da sponda alla violenza non solo verbale. E, se colto in flagranza, ribatte che i tifosi di ogni bandiera la pensano come lui. Purtroppo ha ragione: con dirigenti così come potrebbero pensarla altrimenti?

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