LE INSIDIE DELLA MANIFESTAZIONE AUTUNNALE DI VELTRONI

Pubblicato il 25 Giugno 2008 - 17:36 OLTRE 6 MESI FA

La Stampa pubblica un commento di Francesco Ramelia sulla manifestazione nazionale di protesta contro il governo Berlusconi programmata dal Pd in autunno intitolato ”Il Pd e le insidie della piazza”. Lo pubblichiamo di seguito:

”In autunno il Pd chiamerà i propri elettori ad una grande manifestazione nazionale di «protesta e di proposta» contro il governo Berlusconi. Sta diventando una tradizione del nostro Paese, per l’opposizione, ricompattarsi nelle piazze dopo una sconfitta elettorale. Perché queste mobilitazioni, quando riescono, ridanno fiducia sia alla base che ai vertici. E bucano i teleschermi. A questo del resto servono. Non casualmente, sia nel 1996 che nel 2006, Berlusconi portò in piazza una notevole quantità di persone a protestare contro le prime finanziarie di Prodi. Anche il popolo di centro-sinistra, dopo la sconfitta del 2001, sentì il bisogno di manifestare: con i girotondini in difesa della legalità e della democrazia e con il sindacato contro la revisione della normativa sui licenziamenti. Tra queste manifestazioni c’è, tuttavia, una profonda differenza.

La base del centro-sinistra non fu chiamata in piazza dai partiti. Rispose prima all’appello del movimento dei professori e della società civile e poi a quello della Cgil. Non fu solo una mobilitazione contro il governo Berlusconi ma anche contro la propria classe dirigente. Ciò creò una dialettica che servì a dare slancio e a ricalibrare le strategie dell’opposizione. Ma mise altresì in luce una scollatura tra base e vertice dei partiti di centro-sinistra che non si è mai del tutto ricomposta.

Le dimostrazioni del centro-destra erano diverse. Si trattava, perlopiù, di mobilitazioni dall’alto. Volute in primo luogo dal leader maximo della coalizione seguendo motivazioni politiche e coalizionali. Nel 2006 la manifestazione di Piazza San Giovanni permise a Berlusconi di riaffermare una leadership che sembrava sfuggirgli di mano. Accelerando il confronto con il governo (la strategia della spallata) e rimandando quello con gli alleati. Servì a guadagnare tempo. Perché il tempo gli giocava contro: un prolungamento del governo Prodi assottigliava drasticamente le sue chance di ricandidatura. L’«appello alla piazza» dei Democratici assomiglia molto a questo secondo tipo di mobilitazione. Serve a dare respiro ad un Veltroni che è finito nelle spire delle contese oligarchiche di partito, mentre è tallonato dalla sinistra giustizialista. Gli serve anche a disincagliarsi dalle difficoltà in cui si è arenata la strategia del dialogo. E tuttavia, per quanto utile e forse necessaria, la mobilitazione d’autunno nasconde due insidie.

L’annuncio dato di fronte alla platea semivuota dell’Assemblea nazionale ha una potenza simbolica fortemente evocativa. Sottolinea la stanchezza (e la delusione?) seguita alle primarie e alla sconfitta elettorale. Mostra il volto di un partito che fatica a rimettersi in moto. Qui sta la prima insidia. Ovvero che il loft veltroniano da scelta temporanea, dettata da necessità e urgenza, si trasformi in strategia permanente di governo del partito. Che l’appello diretto del leader ai propri elettori e il meccanismo stesso delle primarie – pur giocati in chiave antioligarchica e di rinnovamento – portino con sé l’asfissia del partito e il rischio di una deriva interna di tipo plebiscitario.

Sarebbe perciò opportuno che in tempi ragionevoli, ma ravvicinati, l’attuale leadership sottoponesse le strategie per il prossimo quinquennio al vaglio di una discussione approfondita all’interno di tutto il partito. Non solo tra le oligarchie di vertice. Per chiarire la linea politica che intende seguire. E qui affiora la seconda insidia. Perché dietro l’angolo della mobilitazione contro Berlusconi a difesa dello stato di diritto, si annida sempre un grande alibi per la sinistra. Quello di darsi un collante in negativo piuttosto che in positivo. Il rischio, in altri termini, è che l’opposizione affannata a combattere il Caimano si dimentichi di ripensare la propria identità, dotandosi di un programma e di una strategia chiaramente condivisa. Come ha ben descritto la Scuola di psicologia di Palo Alto: ripetere meccanicamente le soluzioni fallite in passato per affrontare un problema non solo non aiuta a risolverlo, ma finisce per favorirne la persistenza”.