GENOVA – Smantellare la Costa Concordia a Genova, ovvero in quello stesso porto da cui partono buona parte delle navi da crociera della stessa compagnia. L’idea è venuta al governatore della Liguria Claudio Burlando ed è un’idea che vale almeno 350 milioni di euro e qualche centinaio di posti di lavoro.
Burlando ci crede e non ha smesso di farlo neppure di fronte agli iniziali no della compagnia. Il più ostile all’operazione genova era l’ex armatore della Costa Pier Luigi Foschi. E la svolta possibile sta nella parolina “ex”. Perché ora al posto di Foschi, numero uno della compagnia per quindici anni, c’è un tedesco Michael Thamm.
Così, il veto messo dal precedente armatore, può venire meno. Secondo Foschi era impossibile pensare di smantellare la nave nel terminal principale della Costa. In effetti, almeno sul piano estetico e del buon augurio, non sembra il massimo. Burlando, però, la pensa diversamente. Così ha incontrato Thamm, non prima di aver sondato la disponibilità delle autorità marittime e portuali competenti.
E Thamm non è Foschi. Il risultato della conversazione è stato positivo: “Se va bene alla città va bene a noi”, avrebbe detto il nuovo amministratore delegato. Insomma la Costa Concordia si potrebbe smontare a Genova. Anzi, Genova è l’ultima speranza per impedire che l’affare smantellamento se ne vada all’estero, nello specifico a Smirne, in Turchia.
Ma a Genova dove e come? Il Corriere della Sera spiega come nel porto c’è da tempo un’area adatta, anche se mai messa in funzione. Un super bacino che con piccoli ritocchi sarebbe adatto allo smaltimento:
Il nuovo progetto si basa su una vecchia sconfitta, che non ha mai smesso di bruciare. Molti anni fa il termine super bacino indicava una specie di gigante galleggiante che Genova non fu capace di completare e di metter in funzione. Venne svenduto a una società turca. Da allora la banchina alla quale era ormeggiata la piattaforma viene indicata come area «ex super bacino», a ricordo, forse, di una occasione perduta.
Il pontile è lungo 380 metri, lo specchio acqueo è largo 230 metri. Oggi il fondale è profondo 17 metri, ma può essere riportato senza troppi sforzi alla quota originaria di 20 metri, perché si tratta di materiale facilmente asportabile nell’ambito del piano di dragaggi fatto dall’Autorità Portuale di Genova. Quei numeri rispondono alle prerogative richieste dagli esperti e dalle parti in causa per accogliere la Concordia. Nell’ex super bacino oggi operano i cantieri Mariotti e San Giorgio, tra le principali aziende europee nel campo della costruzione, ristrutturazione e recupero di navi da crociera. Oltre a loro, è stata coinvolta anche Saipem, titolare della Castoro 6, piattaforma off shore ormeggiata nell’area che potrebbe fare da base logistica.
Alternative italiane a Genova non sembrano essercene. C’è il nodo Piombino, ma la questione è complessa. Il governatore toscano Enrico Rossi ha infatti strappato un finanziamento per smaltire in Toscana, ovvero nella regione che ha subito il danno ambientale, il relitto. Ma Piombino, a oggi, è un porto troppo piccolo e inadeguato. E neppure lo stanziamento da 110mila euro, che nelle intenzioni di Rossi servirebbe a rianimare il settore siderurgico locale, sembra sufficiente a mettere il porto in condizione di smaltire quello che è stato classificato come “rifiuto speciale”. Se la Toscana dovesse arrendersi, allora, Genova giocherà le sue carte. Le ultime per impedire che la carcassa se ne vada in Turchia per essere smembrata.
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