“Giudici di provincia” contro Ilda Boccassini: “Ci denigra, intervenga il Csm”

di redazione Blitz
Pubblicato il 25 Ottobre 2013 - 10:21 OLTRE 6 MESI FA

Milano: Giustizia ,Conferenza Stampa llda BocassiniMILANO – I “giudici di provincia”, di processi per mafia, “non sanno nulla”. Questa frase pronunciata dal magistrato Ilda Boccassini, procuratore aggiunto di Milano, una carriera spesa a combattere le infiltrazioni mafiose al Nord, non è piaciuta ai giudici di provincia. Che infatti ora chiedono l’intervento del Csm per stabilire se l’affermazione della Boccassini sia deontologicamente corretta oppure semplicemente denigratoria.

L’inizio della vicenda risale all’11 ottobre scorso. Ilda Boccassini interviene a un convegno a Milano sulla criminalità organizzata organizzato dall’Università Bocconi. A suo avviso, il fatto che “non siano mai stati istituiti i tribunali distrettuali rappresenta un problema serio”. Boccassini spiega che “le indagini sono accorpate dalla Dda (direzione distrettuale antimafia) mentre il processo viene polverizzato”. “Dobbiamo andare a fare i processi a Pavia, a Como, a Lecco, a Busto Arsizio e a Palmi – ha osservato -: non si può dare in mano un processo a giudici di provincia che, con tutto il rispetto, non sanno nulla” di questi argomenti.

Un tema complesso, quello affrontato dalla Boccassini, riassunto da Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera:

Nel convegno in Bocconi, dunque, Boccassini aveva lamentato che nel 1992 l’iniziale progetto legislativo di accentramento delle risorse e capacità investigative in capo a una unica Procura per ogni distretto giudiziario, motivato dalla necessità di affrontare l’unitarietà di organizzazioni come Cosa nostra e ’ndrangheta, e da lei fortemente condiviso, fosse però rimasto orbo, a suo parere, della mancata introduzione di una contemporanea competenza a livello distrettuale anche per i Tribunali. Con il risultato, secondo Boccassini, di disperdere, in tanti diversi processi davanti a tanti diversi Tribunali, quella precomprensione (quasi culturale prima che giuridica) di substrati e codici mafiosi che il pm ritiene imprescindibile e acquisibile soltanto da una specializzazione anche dei giudici in questi processi. Tema però molto delicato, perché è sottile il confine tra le esigenze di efficacia e competenza (pezzo forte delle tesi pro-specializzazione) e invece i rischi di condizionamento interno, di preponderanza «culturale» della cornice del pm ai danni della difesa, di sacrificio degli automatismi a garanzia del giudice naturale.

In questo contesto Boccassini aveva aggiunto: «Una visione globale la può avere solo il Tribunale distrettuale, ma non sono mai stati attivati. E questo è un problema serio. Se no, dobbiamo (noi della Dda di Milano, ndr ) andare a fare i processi a Busto Arsizio, a Como, a Lecco, e Reggio Calabria deve andare a Locri, a Palmi: il che significa polverizzare il tutto, e mettere nelle mani di giudici di provincia che, con tutto il rispetto, non sanno nulla». E ora a Busto Arsizio i giudici del settore penale (Bossi, Bovitutti, Frattini, Guerrero, Lualdi, Novick, Zoncu) investono il Csm per farsi dire se sia deontologicamente corretto il comportamento del pm e se quell’espressione non sia tale da delegittimare il loro lavoro.