Lo zio di Saman: “Abbiamo fatto un buon lavoro”. Musulmane: italiane abbandonate

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 7 Giugno 2021 - 10:32 OLTRE 6 MESI FA
Lo zio di Saman: "Abbiamo fatto un buon lavoro". Musulmane: italiane abbandonate

Lo zio di Saman: “Abbiamo fatto un buon lavoro”. Musulmane: italiane abbandonate (Foto d’archivio Ansa)

L’sms dello zio di Saman fa riflettere una volta di più sulla condizione delle donne musulmane. Anche quelle che sono in Italia.

Abbandono scolastico, reclusione domestica e matrimoni combinati. Formule che leggiamo con il distacco tipico di chi non lo considera un suo problema ma, nello specifico, un problema dei musulmani e delle loro comunità, a prescindere da dove queste si trovino.

Invece è un problema assolutamente nostro perché le vittime sono, in primis, italiane. Cittadine del nostro stesso Stato e nostre concittadine, che lo Stato dovrebbe difendere. Prima delle scarpette rosse o forse insieme, ma non certo dopo, anche questa è violenza sulle donne. Violenza che in troppi ignorano nascondendosi dietro a ipocriti e sciocchi paraventi fatti di supposto rispetto culturale e delle minoranze.

La storia di Saman e l’sms dello zio

L’ultimo e più clamoroso caso è quello di Saman, uccisa forse dallo zio su richiesta della mamma e del papà. Rea di non aver accettato un matrimonio combinato e di voler vivere ‘all’occidentale’, cioè come a lei avrebbe dovuto essere garantito.

La Gazzetta di Reggio Emilia parla di un messaggio, un sms, che lo zio della ragazza avrebbe inviato a una persona molto vicina a lui. Parlando di Saman, avrebbe scritto: “Abbiamo fatto un lavoro fatto bene”.

Musulmane italiane: storie di violenza e di abbandono

Ma quello della ragazza al centro delle cronache di oggi non è che l’ultimo e più clamoroso dei casi di questo tipo. Ce ne sono altri prima e, purtroppo, è lecito credere che ce ne saranno ancora. Senza però arrivare all’omicidio, lo stesso tipo di violenza assume altre mille forme, quotidiane e forse più sfumate, ma non meno gravi.

Ci sono i casi delle ragazze tolte della scuole all’inizio della pubertà, quando ancora per la loro età ci sarebbe un obbligo a frequentare; quelli delle ragazze costrette in casa; costrette a non andare in spiaggia; costrette a frequentare solo altre donne e nessun uomo sino ai casi dei matrimoni combinati.

Accade, nel 2021, in Italia. Sotto gli occhi di tutti. E’ la compagna di classe dei nostri figli che ad un certo punto lascia la scuola. E’ l’amica della palestra che all’improvviso non può più frequentare. Un fenomeno fortunatamente non dilagante ma marginale, che però esiste, e non è per il suo essere marginale che sembra passare al di fuori dei nostri radar etici e di curiosità.

Semplicemente i più lo derubricano e lo considerano un problema non loro ma un problema della comunità musulmane. Eppure Saman e tutte le altre sono prima che musulmane, italiane. E come cittadine dovrebbero poter contare sulla difesa dei loro diritti e noi dovremmo interessarci della loro difesa.

Matrimoni combinati: norma sociale prima che religiosa

Che poi la religione c’entra sino ad un certo punto. I matrimoni combinati erano anche per noi bravi cattolici, non nel Medioevo, la norma. Come lo sono oggi in Pakistan o in Afghanistan e non solo. Norma sociale prima che religiosa.

Attraverso i matrimoni e tutte le regole, anzi costrizioni che scandiscono la vita femminile, si misura il prestigio, la posizione sociale e la credibilità di una famiglia. E’ vero lì, ma non può essere vero qui. Perché qui la società è, deve e vuole essere diversa. Perché le donne da difendere non sono solo quelle che si chiamano Anna o Maria, ma anche Saman.

Una cecità colpevole e che colpisce anche chi normalmente a difesa delle donne giustamente si schiera, a partire da una fetta di quella che un volta si chiamava intellighenzia di sinistra che, in nome di un rispetto del diverso, scientemente o inconsapevolmente decide che non si può metter bocca nelle tradizioni.

Non c’entrano però le tradizioni e la cultura e, anche qualora c’entrassero, non andrebbero comunque difese perché il progresso, prima che economico, è sociale. E le nostre società non vanno difese o non si possono considerare migliori perché più ricche, ma solo perché più libere e democratiche.