PESARO – Marcello Bruzzese era sotto protezione a Pesaro: ma il sostegno dello Stato era solo economico. Lui non viveva con una falsa identità, sulla cassetta delle lettere c’era il suo nome. Non deve essere stato molto difficile per i killer trovarli. Marcello Bruzzese è stato ucciso a Natale non per caso: in Calabria alcune ‘ndrine della ‘Ndrangheta privilegiano uccidere in un giorno di festa familiare proprio per infliggere un dispiacere maggiore ai parenti. Bruzzese si era trasferito nelle Marche dopo che il fratello era diventato collaboratore di giustizia.
La famiglia di Marcello Bruzzese era a Pesaro sotto protezione dello Stato dal 2008. Una protezione che di fatto prevedeva un sostegno economico, ovvero casa e stipendio pagati dal ministero degli Interni a Marcello, ucciso il 25 dicembre, e al fratello Girolamo Biagio Bruzzese, pentito di ‘ndrangheta che cercò di uccidere un boss. Marcello andò via per un po’ da Pesaro per tornarci di recente ma senza una vera protezione: il suo cognome appare anche sulla buca delle lettere dello stabile in cui abitava.
Le famiglie Bruzzese si stabilirono a Pesaro in maniera massiccia, facendo arrivare tutti i parenti comprese sorelle, cognati e l’anziana vedova del capostipite Domenico, ucciso nell’agguato del 17 luglio del 1995 a Rizziconi in provincia di Reggio Calabria.
Una vendetta trasversale nei confronti del fratello collaboratore di giustizia: è l’ipotesi privilegiata per spiegare l’omicidio di Bruzzese. Una ipotesi raccolta in ambienti investigativi reggini che evidenziano come la data del delitto, il giorno di Natale, non sia casuale, ma scelta appositamente per generare sofferenza nei superstiti in occasione di una giornata che dovrebbe essere di festa. Una “usanza” praticata da varie cosche di ‘ndrangheta del reggino, comprese quelle che operano nella piana di Gioia Tauro.
Dopo il delitto, carabinieri e polizia della Provincia di Reggio Calabria sono stati ovviamente allertati vista la natura della vittima, ma soprattutto del fratello, il collaboratore di giustizia Biagio Girolamo Bruzzese. Non viene invece considerata particolarmente interessante l’ipotesi di una intimidazione ai danni di Girolamo per indurlo a non parlare o a ritrattare. Tutti i processi in cui è stato coinvolto come testimone sono ormai chiusi e vista l’epoca del suo “pentimento” il 2003, le sue conoscenze sono ormai datate nel tempo.
Sul fronte investigativo Marcello Bruzzese, invece, non è mai stato un soggetto particolarmente interessante. Ha dei precedenti di non grande rilievo e tutti datati. Al programma di protezione aveva aderito già pochi giorni dopo il “pentimento” del fratello, insieme alla stragrande maggioranza dei familiari di Girolamo. Gli unici a non accettare furono il suocero – che fu ucciso pochi mesi dopo – la suocera e alcune cognate.