ROMA – Il professor Mario Tozzi, geologo e divulgatore scientifico, sabato sera andrà in onda su “Rai Tre” con uno speciale del suo programma, “Sapiens – Un solo pianeta”, sul terremoto del 6 aprile 2009 a L’Aquila. Terremoto di cui in questi giorni ricorre il decimo anniversario.
Professore, che ricordi ha di quella notte?
“Un vago tremore nello studio dove mi trovavo. Era tardi. Non è che ricordo benissimo”.
Che impressione le fecero le prime immagini?
“Quella che mi fanno tutti i terremoti in Italia. In Italia è sempre un disastro. E non è mai giustificato dalla magnitudo del sisma”.
Dopo il terremoto a Casamicciola lei disse che un terremoto di magnitudo 4 non può uccidere e non dovrebbe portare al livello di distruzione che c’è stata. Perché in Italia, soprattutto nelle zone sismicamente più a rischio, si è costruito così male?
“Perché si è dimenticato che sono zone sismiche. Perché non c’è la conoscenza e perché non c’è una pianificazione territoriale. Inoltre anche perché c’è speculazione”.
Di chi sono le responsabilità?
“Sono soltanto umane, tanto per cominciare. E poi sono a livello del singolo che magari costruisce, non è il caso dell’Aquila, sapendo che ci sono delle regole e non le rispetta. A livello delle ditte che cercano di lucrare sui materiali. A livello dei progettisti che sono ignoranti e a livello degli amministratori che tollerano tutto questo”.
Perché per il terremoto de L’Aquila si parla di diverse magnitudo?
“Sono tre le magnitudo che si possono statuire dal punto di vista dell’analisi del sismogramma. La cosa che deve rimanere è che la magnitudo misura la forza del terremoto. E questa è la ragione perché posso confrontare terremoti in varie parti del mondo perché la magnitudo è un dato oggettivo e non è come il danno che dipende dagli edifici che circondano la zona. Quale che sia la magnitudo di riferimento l’altro fattore importante è l’accelerazione del suolo. Quanto cioè gli oggetti vengono scaraventati verso l’alto. E questo dato per l’Aquila, così come per Amatrice e per Norcia, era particolarmente alto. Ma niente di tutto questo giustifica un discorso così specifico. Il problema è che un terremoto come quello de L’Aquila deve far scrollare la polvere dalle spalle e basta e non provocare oltre 300 morti e 70mila sfollati”.
In Giappone un terremoto del genere sarebbe passato inosservato?
“Appunto. Quello che dico. Inutile perdersi in questi discorsi. E allora un terremoto di magnitudo 9 in Italia cosa farebbe? Raderebbe al suolo la penisola?”.
Sciame sismico o meno a L’Aquila, essendo una zona sismica, prima del terremoto del 6 aprile si poteva fare qualcosa di più per mettere in sicurezza gli edifici? Cosa si poteva fare?
“Sciami sismici così in Italia sul lungo periodo ce ne sono stati una ventina. E solo nel caso de L’Aquila sono arrivati a dare una scossa forte. Noi dobbiamo mettere in sicurezza gli edifici non perché c’è uno sciame sismico ma perché quella è una zona sismica e gli edifici devono essere a rigore. E’ un falso problema quello dello sciame iniziale. Tu lo devi fare in tempo di pace non quando c’è uno sciame”.
Quando alcuni esperti della ‘Commissione Grandi rischi’, poi assolti, furono condannati per le vicende legate al terremoto lei disse : “Adesso mi aspetto che siano condannati anche i cani, i gatti e le galline, per non aver dato avvisaglie certe del terremoto”. In Italia c’è un rapporto difficile con la scienza?
“Sì, molto complicato. In questo periodo soprattutto. C’è chi crede alle scie chimiche. C’è chi dice che la Terra è piatta. E ci stanno pure quelli che dicono che i terremoti si possono prevedere e bastava ascoltare, che ne so, il tecnico del momento. Ma in realtà non c’è una possibilità ancora oggi per prevedere i terremoti perché sono dinamiche che accadono sotto terra e quindi sono difficili da scrutare. Su questo bisogna lavorare. Ma in Italia l’autorevolezza della scienza non viene considerata. E’ davvero un periodo brutto per questo. Ma questo lo vediamo dalle scuole dove i genitori che riportano a scuola il figlio con un brutto voto e pestano il professore”.
Cialente propone come possibile soluzione per il futuro l’incrocio dei dati degli edifici il fascicolo di fabbricato. E’ d’accordo?
“In termini di prevenzione sarebbe una buona mossa. Certo. Ma si oppongono i proprietari di case perché per renderlo obbligatorio servirebbe una piccola spesa. Poi però non si oppongono a comprare una cucina da 5mila euro. Francamente io sono sconsolato. Ci vorrebbe una carta d’identità dell’edificio. Bisogna sapere tre cose essenzialmente: quando è stato costruito, con che tecniche e materiali costruttivi e su che terreno poggia. Queste tre cose dobbiamo saperle”
Il problema è che sono politiche che non portano consenso a breve termine?
“La spesa sarebbe risibile e salverebbe la vita. Io francamente non capisco. Magari qualcuno teme che il valore del suo immobile perda valore. Ma questo dovrebbe essere l’ultimo dei problemi”.
Nei giorni successivi al terremoto qualcuno disse che si poteva prevedere. Quanta rabbia le fecero quelle parole?
“Ci riferiamo alle parole di un tecnico che disse che il terremoto sarebbe avvenuto nella zona di Sulmona in un periodo non meglio precisato che è come dire… che sarebbe avvenuto in Australia. Allora cosa avremmo dovuto fare? Evacuare tutto l’Abruzzo? E’ destituito di ogni fondamento quel tipo di previsione”.
Ci può spiegare come mai dal punto di vista scientifico, in Italia centrale accadono così tanti terremoti?
“Non sono poi tanti a dire il vero. Ed è uno dei motivi per cui ce ne dimentichiamo. Perché questi terremoti hanno dei tempi di ritorno molto lunghi. Tutto l’Appennino è fatto in un certo modo: cioè si è sollevato qualche milione di anni fa e adesso piano piano si sta riassestando e si sta, diciamo, abbassando. Ogni volta che un blocco si abbassa rispetto a un altro si spaccano le rocce e quella spaccatura è la faglia che genera i terremoti. E’ un processo che dura da decine di migliaia di anni e durerà ancora per decine di migliaia di anni. Non è che siano particolarmente frequenti. E’ semplicemente la dinamica di questo pezzo di crosta terrestre”.
20 e 29 maggio 2012 in Emilia Romagna, 24 agosto 2016 ad Amatrice, 26 e 30 ottobre 2016 a Macerata e Norcia, 18 gennaio 2017 ancora a L’Aquila. C’è un collegamento quindi fra questi vari terremoti?
“Sono famiglie parallele di queste grande spaccature che chiamiamo faglie. Qualche volta è stata la stessa”.
Quali sono le zone più a rischio in Italia?
“Partendo da Catania, che è quella dove forse il rischio sismico è più elevato, si deve poi risalire a Messina e Reggio Calabria. Poi tutta la Calabria, la dorsale appenninica, l’Irpinia, l’Appennino centrale, L’Aquila e Avezzano, l’Appennino settentrionale in Garfagnana e poi anche Emilia Romagna e Friuli”.
“Restano – continua – poi gli edifici mal costruiti. Il rischio è elevato anche con magnitudo basse perché il patrimonio costruito è fragile”.
L’Aquila secondo lei è stata ricostruita in maniera sicura? “Per quello che ho visto sì. Ma non è che l’ho vista tutta ricostruita”.
SPECIALE TERREMOTO L’AQUILA 2009-2019
- Terremoto L’Aquila 2009-2019, l’intervista a Massimo Cialente: “Ricordo il fungo atomico arancione ma il terremoto i morti non li fece da solo”.
- Terremoto L’Aquila 2009-2019, l’intervista a Mario Tozzi: “Prevedere i terremoti, sì, come la Terra piatta…”.
- Terremoto L’Aquila 2009-2019, intervista a Maurizio Pignone (INGV): “In Italia un terremoto 6,1 provoca una strage. In Giappone…”.