Burundi. Caos, capitale Bujumbura disseminata di cadaveri

Pubblicato il 12 Dicembre 2015 - 19:07 OLTRE 6 MESI FA
La violenza in Burundi

La violenza in Burundi

BELGIO, BRUXELLES – La capitale del Burundi, Bujumbura, si è svegliata sabato con le strade disseminate di cadaveri: finora ne sono stati trovati almeno 87 – ma il numero minaccia di aumentare – come risultato di una notte di furia selvaggia.

Un’impennata in un’onda di violenza che ha già fatto quasi 300 morti e oltre 200.000 sfollati dallo scorso aprile e che rischia di sommergere il piccolo Paese dell’Africa centro-orientale, ex-colonia belga, in una nuova, sanguinosa guerra civile.

Una fase di tensione, questa, innescata dalla decisione di presentarsi alle elezioni per un terzo mandato del presidente Pierre Nkurunziza. L’uomo che 10 anni fa è stato espressione della pacificazione di un Paese che non ha mai conosciuto la pace dall’indipendenza del 1962, ora rischia invece di esserne l’elemento di rottura. I cadaveri nelle strade di Bujumbura sono per lo più concentrati nel quartiere di Nyakabiga, roccaforte dell’opposizione a Nkurunziza.

Molti sono stati uccisi da colpi d’arma da fuoco e diversi cadaveri hanno le mani legate dietro la schiena e altri segni di un’esecuzione. Venerdi i residenti della capitale avevano parlato di attacchi coordinati di gang contro i soldati e la poliziotti. Gli squadroni della morte della scorsa notte potrebbero quindi – ipotizzano in molti – essere espressione di una vendetta della polizia.

Il Burundi sta avvitandosi in una escalation ed è di fatto a un passo dalla ripresa della catastrofica guerra civile fra le etnie Hutu e Tutsi che, parallelamente al genocidio nel vicino Ruanda, fra il 1993 e il 2005 si stima abbia lasciato in terra oltre 300.000 morti. Nkurunziza, 51 anni, è un Hutu. Durante il conflitto era comandante dei ribelli, che lottavano contro il predominio dei Tutsi, che pure sono solo il 15% della popolazione, nelle forze armate.

Pur essendo ben accetto quando fu eletto dal parlamento presidente nel luglio 2005, dopo la firma della pace, e avendo anche contribuito alla parziale rinascita economica di uno dei Paesi più poveri al mondo, oggi è visto dalla minoranza come uomo della discordia, espressione di una potenziale deriva autoritaria e di predominio etnico. Nkurunziza afferma di aver rispettato la costituzione nell’estendere a tre il numero di mandati, ma affidandosi direttamente al voto popolare piuttosto che sull’elezione parlamentare, com’era avvenuto per i primi due.

In maggio la tensione fu esacerbata dal verdetto della corte costituzionale, che diede ragione al presidente, e che molti affermano essere stato il risultato di intimidazioni sui giudici. Le elezioni di luglio furono poi liquidate dal leader dell’opposizione, Agathon Rwasa, come una “barzelletta”. Da allora oltre 200.000 burundesi sono fuggiti in Paesi vicini (Congo, Ruanda, Tanzania) e decine di migliaia hanno lasciato la capitale per le campagne.

Il loro giustificato timore è aggravato ulteriormente dalla recente dichiarazione d’impotenza delle Nazioni Unite, che non avrebbero le forze – come non ce l’ha l’Unione Africana – per contrastare o contenere un’escalation dagli esiti imprevedibili. Ma che può spalancare le porte a un potenziale nuovo genocidio su base etnica.