David Rohde, giornalista del New York Times, sfugge ai talebani dopo sette mesi di prigionia tra Afghanistan e Pakistan

Pubblicato il 21 Giugno 2009 - 01:03 OLTRE 6 MESI FA

David Rohde, un giornalista del New York Times rapito sette mesi fa dai talebani, è riuscito a fuggire venerdì sera e a raggiungere la libertà dopo la lunga prigionia sulle montagne dell’Afghanistan e del Pakistan. Rohde ha 41 anni. Sposato nove mesi fa, ne ha passato sette in prigionia.

Rohde, un premio Pulitzer per le sue cronache dall’Afghanistan e dal Pakistan, era stato catturato il 10 novembre 2008 mentre si trovava fuori Kabul, capitale dell’Afghanistan. Stava scrivendo un libro e faceva ricerche sul campo. Era insieme con un cronista locale, Tahir Ludin e un autista, Asadullah Mangal.

Gli avevano proposto di intervistare un comandante talebano fuori Kabul e aveva ritenuto non ci fossero rischi eccessivi, anche se aveva comunque lasciato istruzioni all’ufficio del giornale, a Kabul, in caso di incidente.

Rohde è fuggito dal cortile di una villa dove era detenuto scavalcando il muro di cinta. Alla fuga si è unito anche l’altro giornalista, Ludin. L’autista non si è unito a loro.

La villa-prigione si trovava in una zona a nord del Pakistan e i due fuggiaschi sono così riusciti a raggiungere una caserma della polizia di frontiera pakistana, da dove sono stati trasportati in aereo a una base militare americana in Afghanistan.

Il giornalista americano sarebbe in buona salute, mentre l’afghano si sarebbe fatto male a un piede nella fuga.

Fino a oggi la notizia della cattura di Rohde era stata tenuta riservata, per timore di compromettere la sicurezza dei rapiti. La famiuglia ha negato il pagamento di qualsiasi riscatto.

A cose fatte, il direttore del New York Times, David Keller ha detto: “Siamo stati d’accordo tutti, famiglia Rohde e esperti di sicurezza inclusi, di tenere la notizia sotto silenzio, come abbiamo già fatto in altri casi di rapimento e come avevano chiesto gli stessi rapitori. Anche gli altri editori si sono comportati con correttezza, nella convinzione che divulgare la notizia avrebbe potuto aumentare i rischi per i rapiti.

Rohde aveva già vissuto una esperienza di prigionia in Bosnia, nel novembre 1995, quando lavorava per il Christian Science Monitor. Aveva trovato in uno stadio in territorio serbo bosniaco indizi di un massacro. Mentre documentava la strage (fosse comuni, pile di abiti e di ossa umane) venne sorpreso da una sentinella e catturato. Restò dieci giorni nelle mani dei serbi, che lo interrogarono senza lascirlo mai dormire. Venne liberato solo grazie all’intervento della diplomazia americana, impegnata in quei giorni nei negoziati di Daytona.