Giappone, i medici: “Per i superstiti ora rischio di “epidemia” di depressione”

Pubblicato il 2 Aprile 2011 - 00:03 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Dopo il terremoto, lo tsunami, le devastazioni e l’incubo nucleare, c’è ora un’altra preoccupazione che allarma i medici giapponesi: la tenuta psicologica dei sopravvissuti al maremoto.

Si teme infatti una grande ‘epidemia’ di depressione. Molte di queste persone sono in lutto per aver perso i propri cari, e ora stanno lottando per risistemare case e posti di lavoro distrutti. Ma tutto ciò, insieme allo shock e la rabbia per la devastazione, può predisporre all’abbattimento e alla depressione.

”Molte persone che fino ad ora sono state capaci di ignorare ciò che è successo – spiega il medico Toru Hosada – tornando, realizzeranno che per esempio la loro casa non c’è più, i bambini sono morti e saranno costretti a confrontarsi con tutto ciò. Molti sono incerti su cosa fare”.

Nonostante sia già attiva la macchina per ricostruire le case, nutrire e lavare migliaia di persone, l’assistenza psicologica ”procede troppo lentamente – lamenta Keiichiro Kubota, che lavora in una clinica improvvisata a Kesennuma -. La difficoltà a consolarsi viene anche dalle oltre 350 scosse di assestamento seguite al sisma dell’11 marzo”.

Molti sopravvissuti dormono con i vestiti addosso, sentono sempre il terremoto, anche se si tratta di una macchina che passa. Tra i sintomi più comuni di disagio ci sono cefalee, mal di stomaco, diarrea, difficolta’ a dormire, mancanza di appetito, incubi notturni sul disastro, astenia, irritabilità dai suoni più piccoli e incapacità a piangere e rilassarsi.

”Anche se gli anziani sono più stabili – commenta Cho Chow-mun, cooperante – si incolperanno delle morti nella propria famiglia, e le madri di aver perso i propri figli. I bambini invece sono più suscettibili ai problemi fisici dovuti a stress psicologico. Per i prossimi tre mesi è necessario che le persone nelle zone del disastro abbiano assistenza e che si riaprano le scuole, per far tornare i bambini alla normalità”.