Dal Giappone arriva l’idea di progettare delle centrali solari direttamente sulla Luna. Questi progetti mirano a sfruttare pienamente l’energia solare senza le fastidiose interferenze terrestri, una su tutte le nuvole. L’ultima idea in ordine di tempo è della Shimidzu. Questa compagnia punta a creare sul nostro satellite naturale una “cintura” di pannelli solari lungo tutto l’equatore. Da qui l’energia verrebbe trasferita sulla Terra per mezzo di microonde oppure con l’uso del laser.
La compagnia giapponese propone di partire con una piccola fascia di pannelli lunga 400 chilometri, da ampliare poi progressivamente grazie al lavoro dei robot che opererebbero direttamente sul suolo lunare sfruttando le risorse naturali presenti sul nostro satellite. L’invio dell’energia, che avrebbe il vantaggio di essere prodotta per 24 ore al giorno senza problemi di nuvole o durante la notte, sarebbe affidato a un’antenna di 20 chilometri di diametro guidata da un laser che eviterebbe di colpire “obiettivi” diversi dai ricevitori posti sulla Terra. Secondo il progetto, una centrale simile fornirebbe elettricità sufficiente a tutto il pianeta. L’unico problema sarebbero però i tempi di realizzazione, stimati intorno ai 100 anni.
Sarebbero previsti invece trent’anni di lavoro per avere delle centrali solari nello spazio vicino alla Terra. A realizzarle un consorzio, sempre nipponico, che ha già pianificato di investire nel progetto 21 miliardi di dollari. Anche in questo caso le centrali manderebbero l’energia sulla Terra sotto forma di un raggio di microonde. «Sono progetti molto futuristici, che però hanno come minimo il problema dei costi – afferma Mauro Vignolini, esperto di energia solare dell’Enea. Portare il materiale nello spazio e spedire l’energia sulla Terra avrebbero costi altissimi, mentre la tendenza attuale è ridurre le spese per far diventare l’energia solare una seria alternativa alle fonti fossili». Secondo l’esperto il futuro in questo campo non è la Luna, ma l’Africa. «Il progetto più rilevante in questo campo – continua Vignolini – è il desert tech, sviluppato in Germania con la partecipazione dell’Enel che prevede grandi impianti solari a concentrazione in Africa e il successivo trasporto di energia in Europa. I deserti danno il vantaggio di avere grandi superfici libere e grande insolazione tutti i giorni».
Proprio il solare termodinamico, che utilizza specchi per catturare e concentrare la luce solare, è un campo in cui una volta tanto l’Italia è all’avanguardia. Nel giro di un paio di mesi dovrebbe partire a Priolo l’impianto ‘figlio’ del progetto Archimede, la prima centrale solare termodinamica ad alta temperatura. «Nessuna centrale al mondo raggiunge i 550 gradi di Archimede – spiega l’esperto – e questo fa sì che l’impianto sia il doppio più efficiente di quelli tradizionali. È un progetto che ha gli occhi del mondo puntati addosso, e molti si stanno già interessando ai brevetti che una volta tanto sono italiani».