Vietnam Golfo Tonchino, Iraq armi distruzione di massa… Il vizietto americano di creare casus belli

di Riccardo Galli
Pubblicato il 13 Aprile 2018 - 09:12 OLTRE 6 MESI FA
Vietnam Golfo Tonchino, Iraq armi distruzione di massa... Il vizietto americano di creare casus belli

Vietnam Golfo Tonchino, Iraq armi distruzione di massa… Il vizietto americano di creare casus belli

ROMA – In principio fu il rapimento di Elena. Poi le cose divennero via via meno poetiche sino a ridursi a semplici bugie, o fake news come va di moda definirle adesso, create ad arte per scatenare una guerra.

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Il classico casus belli, la pistola fumante, come l’incidente del golfo del Tonchino del 1964 o le armi di distruzione di massa dell’ultima guerra del golfo.

Nel primo caso a lavorare di fantasia furono gli antichi greci, negli ultimi due gli americani. E se non c’è due senza tre, l’escalation iniziata in Siria potrebbe allungare la serie. Non sono stati gli americani ad inventare l’uso della bugia, o meglio della scusa ben confezionata per poter iniziare una guerra. E’ infatti questa un’abitudine nata probabilmente insieme alla guerra stessa.

Persino noi, singoli, cerchiamo una scusa per attaccar briga se vogliamo litigare e gli Usa non fanno eccezione. Tra fanta-storia e complottismo è cosa nota e accertata che Washington ha sfruttato e deformato o del tutto inventato informazioni al semplice scopo di poter usare la forza. Lo si faceva in passato per raccontare ai posteri e alla storiografia ufficiale una nobile scusa invece che una cruda ingordigia, e lo si fa oggi per convincere opinioni pubbliche spesso restie a veder morire giovani connazionali. E’ successo, nel caso americano, nel 1964. Quando l’incidente del golfo del Tonchino diede il via alla guerra del Vietnam.

Allora il governo Usa sfruttò, deformando e amplificando, un attacco subito da una sua nave per giustificare un intervento armato diretto, consentendo al presidente Lyndon Johnson di poter di fatto entrare in guerra con poteri speciali. Ed è successo molto più recentemente con la guerra che ha portato alla caduta e alla morte di Saddam Hussein. Tutti ricordiamo le famigerate armi di distruzione di massa che il rais avrebbe avuto e sarebbe stato pronto ad usare contro le inermi ed incolpevoli popolazioni degli stati vicini. L’Iraq è stato occupato e delle armi non è stata trovata traccia.

Semplicemente perché non c’erano. Non che Saddam fosse amato dalla popolazione americana o irachena e nemmeno lo si poteva definire un principe illuminato. Ma per bombardarlo e soprattutto per mettere i marines a terra serviva qualcosa di più. Oggi la situazione in Siria è persino più intricata di quello che il Medio Oriente di solito propone. Ci sono alleati ufficiali che sottotraccia lavorano in senso contrario, ci sono in gioco diretto o quasi le due superpotenze del pianeta e ci sono, ovviamente, gli interessi economici.

Ci sono, poi, al comando attori che in molti faticano a giudicare anche solo minimamente affidabili. Così intricata la situazione da rendere difficile trovare un senso all’ultimo attacco chimico arrivato su quel martoriato paese. Potrebbe essere stato l’animale Assad, come lo ha definito Donald Trump, pronto ad usare persino la guerra chimica contro il suo popolo per i suoi fini? O potrebbero essere stati i ribelli, così spesso vicini al Califfato di cui già va sbiadendo la memoria per riaccendere l’attenzione e la tensione? O potrebbero essere stati proprio gli Usa, che da quella zona hanno promesso di andarsene ma che sanno di star lasciando alla Russia che lì ha già installato basi e radici?

Prove non ce ne sono, e difficilmente ce ne saranno vista anche l’oggettiva difficoltà nel reperirne. E come nulla si è saputo dell’altro attacco chimico, sempre in Siria, che sembrò aprire le porte all’intervento Usa e che l’allora presidente Obama fermò, probabilmente nulla si saprà sull’origine di questo. L’unica certezza è che la guerra continua e gli equilibri sono ancora tutti da definire, e che per iniziare un conflitto serve a tutti un buon motivo.