Irlanda, c’è l’accordo sul piano di salvataggio. La crisi Ue resta, chi sarà il prossimo?

Portare il deficit dal 32 al 3% e salvare le banche in difficoltà. E’ questo il succo dell’accordo di salvataggio firmato tra l’Irlanda e l’Unione Europea. Un piano di aiuti, quello salva Irlanda, di durata triennale e  di un costo di poco inferiore ai 100 miliardi di euro e che, per la prima volta, prevederà l’utilizzo del cosiddetto Fondo salva-Stati, creato subito dopo la crisi della Grecia.

L’accordo, però, come prevedibile, non fa felice tutti gli irlandesi. Nel mirino c’è l’esecutivo guidato da Brian Cowen, accusato, come scrive Enrico Franceschini su Repubblica “di avere dapprima mancato nella regulation delle banche e poi ceduto di fatto la sovranità nazionale alla Ue e all’Fmi pur di salvarle le banche e se stessi”. Il risultato è che la tensione sociale è altissima; contro il governo, oltre all’opposizione e ai principali quotidiani irlandesi è sceso il campo anche il Teeu, uno dei principali sindacati, esortando alla “disobbedienza civile”.

Per arrivare all’accordo, domenica 21 novembre, è stata necessaria una fitta giornata di lavori. Il ministro delle Finanze Brian Lenihan, in mattinata ha sottolineato l’imprescindibilità dell’accordo con Ue e Fondo monetario era da farsi a tutti i costi, quindi si è chiuso in riunione coi suoi collaboratori e ne è uscito solo a tarda sera con le carte in mano. Spiega Franceschini che il piano di risanamento che dovrebbe accompagnare il presitito prevede “un risparmio di 15 miliardi di euro su quattro anni, con due terzi della manovra rappresentati da tagli alla spesa pubblica e il resto da aumenti di imposte indirette come l’Iva, senza toccare invece le tasse alle imprese, il punto più controverso,che l’Irlanda vuole lasciare basse per continuare ad attirare quegli investimenti esteri che furono alla base del suo boom”.

La questione delle tasse sulle imprese per Dublino è vitale anche perché i giornali locali hanno già rilanciano i malumori dei alcune multinazionali, colossi statunitensi come Microsoft a Hewlett Packard, Merrill Lynch e Intel, che avrebbero messo in guardia il governo irlandese contro l’aumento della tassa.

Il dato politico fondamentale che emerge dalla crisi irlandese è che, se da un lato il Fondo salva Stati è scattato, dall’altro, però, non si è dimostrato uno strumento sufficiente a salvare gli Stati deboli della Ue (Irlanda, Portogallo ed in una certa misura Spagna e Italia) dagli attacchi degli speculatori. Le preoccupazioni, quindi, restano anche per il nostro Paese. Se, infatti, dal punto di vista del deficit, l’Italia con il suo 5% è al di sotto della media Ue, rimane un debito pubblico altissimo. Il ministro Giulio Tremonti ostenta tranquillità. I dubbi però restano, e resta soprattutto una domanda: dopo Grecia e Irlanda, a chi toccherà chiedere aiuto?

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