Case Usa, Borse europee, titoli di Stato, un solo grido: “Bambole, non c’è un euro”

Pubblicato il 24 Agosto 2010 - 16:46 OLTRE 6 MESI FA

Le case negli Usa si vendono con enorme fatica: ci si aspettava un calo di circa il 13 per cento nelle compravendite, a luglio invece è stato un inabissarsi, meno 27 e passa per cento. Vuol dire che il valore delle case negli Stati Uniti è calato di un quarto, immaginate soltanto cosa vorrebbe dire da noi qualcosa di analogo. Già, ma sono case americane di americani, noi che c’entriamo e in fondo perchè mai la cosa dovrebbe toccarci? Al tempo, non è solo una brutta notizia americana. Se gli americani vedono precipitare il valore della loro casa significa che gli americani vedono calare di altrettanto il loro patrimonio, quindi la loro capacità di spesa in quanto consumatori. Se i consumatori non spendono, le fabbriche non producono, men che mai assumono e pagano stipendi. Vale per tutte le fabbriche che vendono sul maggiore mercato mondiale, quello americano appunto. Vale anche per le aziende europee, italiane comprese.

Non bastasse, se il valore delle case americane tracolla, la capacità degli americani di ripagare i debiti che ogni famiglia ha contratto con le banche e le finanziarie simmetricamente diminuisce. Quindi aumentano i crediti non esigibili in pancia alle banche, americane e non solo. Quindi le banche stringono il credito, prestano meno soldi. E “valgono” anche loro di meno. Torna a circolare, in realtà la possibilità non era mai svanita del tutto, che qualche banca o finanziaria non ce la faccia, che faccia bancarotta. E quindi chi ha i soldi non li rischia, tende a cercare il minimo rischio possibile: investe in titoli di Stato, accetta rendimenti reali intorno all’un per cento annuo, scontando che l’economia tutta non viaggerà più veloce. Ma quali titoli di quale Stato? Di quelli più solidi, che pagano meno in interessi ma rischiano meno di non pagare un domani. Quindi tutti a comprare titoli tedeschi e sempre meno titoli non solo greci o spagnoli o portoghesi ma anche italiani. Per venderli quei titoli l’Italia deve pagare sul mercato un differenziale, misurato dalla distanza che si calcola tra titolo di Statyo tedesco e quello italiano, detto “spread”. Il 24 di settembre il differenziale era a quota 160, il massimo da giugno. Vuol dire che l’Italia spende di più per finanziarsi, vuol dire che deve spendere di meno in spesa pubblica.

Crollo del mercato immobiliare negli Usa, immediato crollo di Borsa in Europa, differenziale a 160, velocità stimata della ripresa tra uno e due per cento, insufficiente a riassorbire, solo riassorbire i 15 milioni di posti lavoro persi nell’area Ocse durante la crisi. Vuol dire per tutti gli Stati e governi d’Europa che: “bambole, non c’è un euro. Nella stessa giornata la politica italiana “pettina le bambole”, anzi le strina. Bossi dà dello st… a Casini, Casini dà del trafficone in banche quote latte a Bossi, Bossi dà del “tentenna” a Berlusconi, Berlusconi si narra mediti di risolvere tutto spendendo a debito i soldi che non ha, a debito che costerebbe sempre più caro, Pd, Idv e Sinistra di Vendola si oppngono ad ogni taglio di spesa. Tutti guardano al 15/30 settembre in Parlamento come all’ombelico del mondo, e se la vera “verifica” la facessero i mercati, quelli che devono comprare entro Natale cento e passa miliardi di titoli di Stato italiani?