Pensione più tardi, assegno più ricco. Incognita precari: prestazioni inadeguate

Pubblicato il 25 Giugno 2012 - 12:19 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – La pensione arriverà più tardi ma sarà più ricca: il riordino del ministro Fornero produrrà una sosta più prolungata di tre anni nel mondo del lavoro che consentirà assegni previdenziali più vicini all’ultimo stipendio. Il certificato di idoneità della riforma è arrivato anche dalla Ragioneria dello Stato: la manutenzione del capitolo pensionistico inserito nel decreto salva-Italia riduce il peso della spesa previdenziale rispetto al Pil, mantiene i livelli di adeguatezza degli assegni, assicura la sua sostenibilità finanziaria.

Le previsioni sul lungo periodo sono incentrate su un tasso di crescita medio dell’1,5%, su un tasso di disoccupazione del 5,5%, su una presenza al lavoro tra i 20 e i 69 anni del 74,3%: abbastanza ottimisti, diciamo, rispetto alle cifre attuali di una congiuntura che fa stimare una crescita zero e una disoccupazione molto più ingombrante (leggi qui il calcolo per ogni categoria fino al 2060). In prospettiva è lecito e non irragionevole attendersi miglioramenti: se le cosse dovessero andar male, con minori contributi complessivi e una crescita zero prolungata, i calcoli andranno rifatti e il “cantiere pensioni” dovrà essere riaperto. In generale, in media vi saranno pensioni adeguate, congrue e dignitose, ma bisognerà lavorare a lungo e soprattutto in maniera continuativa. Una brutta notizia per i precari di oggi: “quanti saranno i giovani che potranno contare su 38-40 anni di contribuzione piena?” si chiede Salvatore Padula del Sole 24 Ore rilevando l’incognita di prestazioni inadeguate per i giovani.

Il prolungamento che ritarda di tre anni l’uscita dal lavoro e l’estensione a tutti del calcolo contributivo (tanto versi tanto ricevi) sono i due capisaldi della riforma. Quindi assegni più lontani nel tempo, ma più sostanziosi. Per i dipendenti maschi il trattamento previdenziale di vecchiaia dovrebbe garantire sempre tra il 70-75% dell’ultima retribuzione (si dice tasso di sostituzione) e in prospettiva anche l’80-85% del tasso di sostituzione netto. Cioè la differenza tra ultima busta paga e primo assegno previdenziale al netto degli effetti fiscali e contributivi. Prima della riforma, le vecchie proiezioni davano un quadro allarmante per i giovani investiti dal metodo contributivo che con quel sistema pensionistico potevano aspettarsi un tasso di sostituzione non superiore al 50%.

Situazione analoga e pericolosa era registrabile per i lavoratori autonomi: le vecchie regole avrebbero consentito loro un tasso di sostituzione del 30-40%, mentre adesso l’assegno non scenderà mai sotto il 50-60% dell’ultima retribuzione. Assegni più pesanti ci saranno per le categorie che hanno subito i prolungamenti al lavoro più forti: come le donne dipendenti private. La musica cambia, dicevamo, per tutti coloro impegnati in lavori discontinui, precari, interinali, o per chi viene licenziato in anticipo: per loro sarebbe cruciale una previdenza complementare, una “pensione di scorta”, suggerita anche dai tecnici dell’Economia ma per la quale, semplicemente, non ci sono risorse.