P3: Dell’Utri non risponde ai pm. I giudici “Suo ruolo più rilevante di Verdini”. Caliendo indagato

Pubblicato il 27 Luglio 2010 - 17:11 OLTRE 6 MESI FA

Marcello Dell'Utri

Dopo l’interrogatorio fiume di Denis Verdini, è giunto il turno di Marcello Dell’Utri. Dell’Utri è entrato poco dopo le 15 nell’ufficio del procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo per essere interrogato in merito all’inchiesta P3, che lo vede indagato insieme a Verdini e a Flavio Carboni. I suoi difensori, gli avvocati Pietro Federico e Giuseppe Di Peri, hanno spiegato: “L’atto istruttorio non durerà molto, anzi poco”. E infatti Dell’Utri si è avvalso della facoltà di non rispondere. Alla fine dell’interrogatorio, inoltre, i pm romani hanno fatto sapere che nel gruppo che faceva capo a Flavio Carboni il ruolo di Marcello Dell’Utri, sotto il profilo politico, sarebbe stato superiore a quello di Denis Verdini.

Dell’Utri è indagato per la violazione della legge Anselmi rispetto alla costituzione di una presunta associazione che è al centro dell’inchiesta. Il senatore si e’ avvalso della facoltà di non rispondere e ha motivato la decisione dicendo: ”A Palermo 15 anni fa ho parlato 17 ore e sono stato rinviato a giudizio sulla base della mie dichiarazioni. Ho imparato da allora”.

”E’ una mia regola fissa -ha aggiunto – non avendo parlato con i procuratori non mi sembra il caso di farlo con la stampa. E’ una regola fondamentale per chi e’ indagato, la consiglio a tutti”.

Indagato il sottosegretario Caliendo. Il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e il pm Rodolfo Sabelli hanno deciso l’iscrizione nel registro degli indagati anche del sottosegretario alla giustizia Giacomo Caliendo. A Caliendo è contestato il reato di violazione della legge Anselmi sulle società segrete. Il sottosegretario potrebbe venire interrogato entro la fine di questa settimana.

Il nominativo di Caliendo appare in alcune vicende sulle quali si e’ appuntata l’attenzione del procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e del sostituto Rodolfo Sabelli. Tra questi una cena nella casa romana del coordinatore del Pdl Denis Verdini, a palazzo Pecci Blunt, che avrebbe avuto il fine di stabilire le strategie di intervento sul lodo Alfano, sulla nomina di Alfonso Marra a presidente della Corte D’Appello di Milano ed il ricorso in Cassazione dell’ex sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino contro l’ordinanza di custodia cautelare emessa nei suoi confronti dalla magistratura napoletana. Secondo quanto si e’ appreso, Caliendo dovrebbe essere interrogato dagli inquirenti romani nei prossimi giorni.

Il sottosegretario, però, si difende: ”Non ho mai contattato ne’ fatto elenchi di giudici della Corte costituzionale favorevoli o contrari al lodo Alfano”, afferma. Caliendo, come ha fatto più volte in passato quando ha indicato Lombardi come ”millantatore”, ripete che al pranzo a casa Denis Verdini, alla fine di settembre, lui rimase solo una mezz’ora e poi se ne ando’ per precedenti impegni in commissione Giustizia. ”Solo successivamente – afferma – ho appreso che nel corso di quel pranzo si era parlato anche di questo (cioe’ del lodo, ndr). Tant’e’ che a tale proposito c’e’ la telefonata che Lombardi mi fece allegata all’ordinanza di custodia cautelare. Ma – ribadisce il sottosegretario alla Giustizia – io non ho mai parlato con giudici costituzionali del lodo ne’ fatto elenchi di chi era favorevole o contrario”.

Caliendo sara’ ascoltato in Procura in qualita’ di indagato e verra’ assistito dall’avvocato Paola Severino: ”Ho dato mandato io all’avvocato stamani di andare in Procura per chiedere di essere ascoltato. Solo alle 16:17 l’avvocato Severino mi ha detto che risultavo iscritto nel registro degli indagati, senza pero’ che le fosse detto l’ipotesi di reato. Poi, dopo neanche un’ora, la notizia e’ comparsa sulle agenzie”.

Alfano gli rinnova la fiducia. “Ribadisco, a sostegno del senatore Caliendo, quanto dichiarato in Parlamento, mercoledì scorso, durante il Question Time e gli rinnovo fiducia e solidarietà”. Lo afferma in una nota il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, in riferimento alla notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati del senatore Giacomo Caliendo.

Ghedini: sorprendente decisione dei pm. ”La decisione di indagare il Senatore Caliendo e’ a dir poco sorprendente. Dal contenuto degli atti appare evidente che nessuna responsabilita’ puo’ essergli ascritta”. Lo afferma in una nota il parlamentare del Pdl e avvocato del premier, Niccolo’ Ghedini, aggiungendo che ”desta preoccupazione che la magistratura voglia ancora una volta adottare iniziative che vanno a sindacare una piu’ che legittima attivita’ politica. E’ auspicabile quindi – conclude – che si pervenga ad una immediata archiviazione”.

Pm non convinti dalle risposte di Verdini. Non hanno convinto i pm romani le risposte date ieri, nell’interrogatorio fiume, dal coordinatore del Pdl Denis Verdini, uno degli indagati nell’inchiesta sulla cosiddetta P3. Tra le argomentazioni del coordinatore che non avrebbero fatto breccia tra i pm ci sono le spiegazioni sui 2,6 milioni pagati dalla Societa’ Toscana Edizione (della quale Verdini e’ socio) allo stesso coordinatore, alla moglie Simonetta Fossombroni ed al coordinatore toscano del partito Massimo Parisi.

I pm sospettano che l’operazione sia servita a Carboni per fare arrivare a Verdini denaro da destinare a finalita’ illecite. Quanto alla nomina di Ignazio Farris a direttore dell’Arpas Sardegna, l’agenzia incaricata di dare le licenze per l’eolico in Sardegna, Verdini ha smentito di avere sollecitato la nomina, come riferito ai pm dal governatore Ugo Cappellacci. Quanto alle cene a palazzo Pecci Blunt, la casa romana di Verdini, che per i pm sarebbero servite, tra l’altro, a stabilire interventi sulla Consulta per il lodo Alfano, Verdini avrebbe cercato di minimizzare la circostanza. In merito al dossier a luci rosse per screditare la candidatura a Governatore della Campania di Stefano Caldoro, Verdini avrebbe ammesso di esserne stato a conoscenza, ma di non avere preso parte al complotto.

P3 si occupò della lista Pdl esclusa nel Lazio. L’inchiesta sulla cosiddetta P3 si arricchisce intanto di nuovi sviluppi. Il “gruppo” che secondo la magistratura faceva capo a Flavio Carboni, Arcangelo Martino e Pasquale Lombardi, si interessò anche dell’esclusione della lista del Pdl provinciale dalle elezioni regionali del Lazio. Questo emerge dall’ordinanza del tribunale del riesame con la quale i giudici hanno negato la scarcerazione a Carboni e Lombardi.

Nell’ordinanza scrivono i giudici, “Lombardi non manca di invitare l’onorevole Ignazio Abrignani, responsabile elettorale nazionale del Pdl, a seguire una via ‘parallela’ rispetto a quella istituzionale (ricorso presso il Consiglio di Stato avverso l’esclusione della lista Pdl Roma e Provincia dalle elezioni regionali) suggerendogli di rivolgersi ad Antonio Martone (ex avvocato generale della Cassazione) perchè è ‘molto amico’ e può risolvere il problema, ma della cosa questa volta il Lombardi segnala che è meglio non parlare al telefono”.

La P3, scrivono ancora i giudici, aveva specifici luoghi a disposizione ”dei sodali per la realizzazione di fini”, in particolare un Centro studi e l’ufficio romano di Flavio Carboni. Qui Carboni organizzava incontri ”con alti magistrati per verificarne la disponibilita’ ad accettare eventuali richieste di favori”.

”Nel Centro studi giuridici per l’integrazione europea ‘Diritti e Liberta” finanziato dal Carboni tramite complessi passaggi monetari per nascondere l’effettiva provenienza – si legge nelle 65 pagine dell’ordinanza – Lombardi riveste la carica di addetto alla segreteria e Martino (su Arcangelo Martino, il terzo indagato, il Riesame si e’ gia’ pronunciato confermandone la custodia in carcere) quella di responsabile dell’organizzazione”.

Per i giudici del riesame romano ”appare evidente che l’attivita’ del centro era diretta a creare occasione di incontro con alti magistrati per verificarne la disponibilita’ ad accettare eventuali richieste di favori da parte del Lombardi e del Martino, ma anche per giustificare i rapporti di questi, altrimenti improponibili interlocutori, con quei magistrati che tale disponibilita’ hanno chiaramente dato per quanto emerge dalle conversazioni intercettate e dalle indagini conseguenti”. Per i magistrati il Centro aveva soprattutto questa finalita’: ”dare un’apparente giustificazione ai rapporti che personaggi come il Lombardi e il Martino avevano con alti magistrati del tutto al di fuori di incontri di studi, atteso che tali incontri e comunicazioni avvenivano per chiedere ed offrire illeciti favori”.

Inoltre per i giudici ”pur in assenza di una qualunque competenza o incarico che minimamente la giustificasse, il gruppo ha portato avanti una metodica azione d’interferenza sull’esercizio delle funzioni di organi costituzionali e di amministrazioni pubbliche, venendo incredibilmente accettato come interlocutore accreditato”.

Gli interlocutori del gruppo che faceva capo a Flavio Carboni per i giudici ”non si sono limitati ad ascoltare le richieste degli indagati ma, in molte occasioni, memori dei favori ricevuti o promessi, spesso si sono attivati per soddisfare le richieste ovvero per decidere insieme ad essi i provvedimenti da assumere nelle rispettive alte funzioni pubbliche”.

Per i giudici ”appare stabile la fitta ed estesa rete di conoscenze sviluppata dagli indagati” e la conseguenza e’ che ”misure gradate, come gli arresti domiciliari, consentirebbero di fatto agli indagati di riprendere la loro attivita’ criminale, anche sotto il profilo della segretezza”. Secondo il Riesame ”gli indagati potrebbero agevolmente riprendere i contatti interrotti dagli arresti, utilizzando, magari con piu’ accortezza, telefoni cellulari e schede telefoniche intestate a terzi. Al piu’ gli indagati dal luogo degli arresti dovrebbero ricorrere all’azione di altri soggetti per incontri diretti con i vari interlocutori interessati, ricerca agevole emergendo dagli atti l’esistenza di numerosi soggetti che abitualmente affiancavano gli indagati o si sono prestati a fungere da prestanome per Carboni, anche in relazione a vicende ‘oscure”’.

Ecco che allora, secondo i giudici la misura della custodia in carcere deve essere mantenuta (”Va anche osservato che gli indagati non hanno mostrato alcun segno di resipiscenza e che gli stessi, nei loro interrogatori di garanzia, hanno scelto di mentire in modo eclatante, negando anche l’evidenza di fronte a specifiche contestazioni”), nonostante l’eta’ e le indicate condizioni di salute dei due indagati. ”Del resto – scrivono nell’ordinanza – l’eta’ e i problemi di salute non hanno minimamente impedito ai due indagati di attivarsi quotidianamente e di muoversi anche freneticamente per tutt’Italia al fine di realizzare il proprio programma criminoso. Quanto alle condizioni di salute emergono patologie per le quali risultano essere in corso accertamenti peritali al fine di verificare la compatibilita’ delle stesse con il regime carcerario”.