Soldi in Svizzera? Paghi il 12%, vuoti il sacco e pace. Stato prepara offerta

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 14 Novembre 2013 - 12:39 OLTRE 6 MESI FA

svizzeraROMA – Prelievo del 12% e perdita dell’anonimato per i correntisti e per coloro che hanno aiutato la “fuga”, illecita ovviamente, dei capitali italiani all’estero. Non è ancora ufficiale ma dovrebbero essere queste le condizioni che il Governo si appresta a varare per recuperare i soldi italiani portati in Svizzera. Un’operazione da cui il fisco conta di incassare 5 miliardi di euro il primo anno e circa 300 milioni ogni anno quando l’accordo sarà a regime.

Siete tra i fortunati, e disonesti, che hanno portato illegalmente soldi all’estero, in Svizzera? Allora tra qualche settimana potrete riportare in Italia i vostri milioni pagando un’aliquota del 12%. Meno di quanto si paga in altri paesi, come Austria e Gran Bretagna ma che, a differenza di quanto prevedono gli accordi stipulati altrove, implica anche la perdita dell’anonimato per i correntisti che fraudolentemente hanno portato i loro soldi oltre confine e, cosa forse più importante, anche per coloro che i suddetti correntisti hanno aiutato, cioè commercialisti e simili che “l’espatrio” hanno organizzato.

E poiché in Svizzera oggi si contano fra 120 e 180 miliardi di euro su conti anonimi di molte decine di migliaia di italiani, se solo circa un terzo di loro si autodenunciasse potrebbero rientrare circa 50 miliardi per un gettito sul 2014 di cinque. Quei 50 miliardi poi possono generare tasse sulle plusvalenze per circa 300 milioni ogni anno.

Non un condono e nemmeno uno scudo fiscale nelle intenzioni di chi l’accordo vuole ma certo, anche considerando la perdita dell’anonimato, condizioni che dal punto di vista meramente monetario sono estremamente convenienti per chi detiene illecitamente capitali in Svizzera. Particolarmente favorevoli se confrontate con quelle di chi, ogni anno, paga regolarmente le tasse in Italia. Tasse che sono ben più alte di quel 12% che dovrebbe gravare sui capitali “di ritorno”.

Al netto dei nomi, condono, scudo o accordo che sia, la sostanza è che una simile impostazione comporta certo problemi di equità. Cinque miliardi subito e 300 milioni l’anno poi sono senz’altro allettanti e sono sicuramente il classico “meglio che niente”. Come giustificare però un prelievo così basso agli occhi di chi è sempre stato onesto?

“L’agenzia delle Entrate e il governo sono nella fase finale di preparazione delle misure per il rientro dei capitali – scrive Federico Fubini su Repubblica -, ma non sarà uno scudo fiscale: non è prevista tutela dell’anonimato degli italiani che fino ad ora hanno nascosto i loro soldi in Svizzera. Formalmente non sarà neppure un condono, ma una sanzione (ridotta) dopo una ‘dichiarazione volontaria’ di chi fino ad oggi ha tenuto dei fondi in un paese che tutela il segreto bancario. Di certo però, come le varie misure di scudo, anche questa è destinata a sollevare problemi di equità: in cambio delle informazioni su se stessi e coloro che aiutano gli italiani ad evadere all’estero, chi ha evitato di pagare le tasse finora se la caverà con multe relativamente basse. (…) Marco Cerrato, un avvocato tributarista socio dello studio milanese Maisto e Associati, si aspetta soprattutto ‘trasparenza’: i funzionari del fisco, prevede, ‘vorranno conoscere i meccanismi della fuoriuscita di capitali e i fiduciari che hanno organizzato le strutture off-shore’. È una modalità del diritto civile simile a quella dei collaboratori di giustizia, con sconti sulle sanzioni per chi implica altre persone. Per chi ottiene gli sconti, si tratterà di pagare le imposte sui redditi da capitale degli ultimi quattro/dieci anni (secondo le posizioni) più una sanzione del 9% del patrimonio fiscalmente rimpatriato. È probabile che il prelievo finale sarà appunto del 12%, con fluttuazioni fra il 10% e il 15% in base ai singoli casi. Nell’ultimo scudo di Giulio Tremonti era stato fra il 5% e il 7%. Negli accordi appena conclusi dalla Svizzera con Gran Bretagna, Austria e Germania invece il prelievo fluttua fra il 15 e il 25% del capitale detenuto all’estero, benché in quel caso il contribuente resti anonimo e non c’è quella che di fatto è la delazione al fisco del consulente che lo ha fatto evadere”.

Trasparenza quindi, e conoscenza dei meccanismi e delle strutture che aiutano l’espatrio dei capitali in cambio dell’equità sacrificata. Un prezzo che, forse, “vale la candela”, specie in tempi di costante difficoltà di bilancio.