GENOVA – Corri, corri scappa dalla casa che crolla, scappa dall’acqua che entra dalle porte, dalle finestre, scappa dal rumore di tempesta che scende dal cielo, scappa da quel fango che entra dappertutto…..Scappa, fuggi che sembra che il mondo venga giù dal cielo nero della tua terra e che la terra sia diventata un mostro che scuote i muri della tua casa…..
Sono scappati così, alle dieci di sera del 10 novembre del 2014, Carlo Armenise di 73 anni e sua moglie Franca Iaccino di 69, dalla porta della loro casa, lassù a Leivi, entroterra di Chiavari, sulla collina di un posto di campagna dove vai nelle serate estive a mangiare il coniglio e le olive, un angolo di Paradiso sopra la costa del Tigullio, un golfo Paradiso e che l’altra notte era diventato l’inferno imprevedibile, allucinante ma non troppo, perchè da due giorni i bollettini meteo e la Regione urlava: “Attenti Allerta 2″.
Allerta 2 in quasi tutta la Liguria da Ponente a Levante, da Ventimiglia a Spezia, un mese esatto dopo l’alluvione di Genova, che ha ucciso quello sciagurato di Antonio Campanella, ex infermiere di 57 anni che era uscito a vedere cosa faceva il Bisagno, vittima numero 101, dopo 44 anni di alluvioni genovesi e liguri. Campanella non era nella sua casa come i due anziani sposi, ma stava sulla riva del torrente maledetto di Genova, quello che sta secco per anni e poi salta fuori e uccide.
Allerta 2 e scuole chiuse e paura e domande – dove stare, cosa fare aspettando il diluvio – che non sai cosa rispondere anche in questo angolo di campagna così lontana dalle centrali Arpal, dai “previsori”, che il cielo lo guardi in un altro modo e non ti aspetti che di colpo diventi così nero e incomincia piovere, a tuonare, lampi come flash. E piove un’ora come un diluvio e senti che la collina su cui è costruita la tua casa si muove, scivola e vedi l’acqua che entra da sotto la porta e non è acqua è un fango denso e sale e sale e si alzano i tavoli le sedie. E piove e il rumore aumenta e il vento sbatte gli alberi. Scappa, scappa, esci fuori dalla tua casa che sembrava il luogo più sicuro, che tutti raccomandavano di non uscire, di stare al riparo, di stare lontano dai torrenti e dai fiumi, scappa, cerca di sfuggire al gorgo che sale tra le tue mura amiche, cerca l’aria aperta, il respiro, prima che il fango e l’acqua ti salgono oltre la gola.
E cosi Carlo Armenise e sua moglie sono usciti in mezzo al tifone e quella notte terribile li ha inghiottiti sulla porta di casa e sono sprofondati nel gorgo che stava fuori, la frana che si tira dietro la casa, la cascata di acqua e fango che scende dalla collina nel buio di morte, il silenzio squarciato dai lampi e dal vento degli alberi come impazziti, come agitati da una forza sconosciuta, la stessa che scarica dal cielo la pioggia.
Duecento millimetri in un’ora in quel punto di Leivi, ex Paradiso terrestre in quella notte. E nella casa al piano superiore, mentre i due sventurati hanno aperto la porta e sono usciti all’aperto, il telefonino suona: la nuora da giù da Chiavari chiama per avere notizie dei due anziani che sono lassà da soli nella tempesta e non sai quello che sta succedendo a monte, perchè a valle è già l’inferno e i torrenti dai nomi conosciuti come l’Entella di Chiavari o sconosciuti come il Ruperaro o il rio Campodonico sono giù uscito, esplosi nell’allagamento che Chiavari non aveva mai visto nella sua storia, la spallata a un pezzo di Liguria sul mare, una città di 30 mila abitanti, ville giardini, orti, palazzi nobili e chiese ricche di ogni addobbo della provincia opulenta genovese.
Trillerà a lungo quel telefonino, mentre Carlo e Franca vengono sepelliti davanti alla loro casa sfondata dalla frana e dentro alla quale un loro vicino si salverà, stando all’interno, come racconterà poi allucinato al Tg1. “Loro sono usciti, io sono rimasto dentro e ho rotto i vetri delle finestre così l’acqua entrava da una parte e usciva dall’altra e mi sono salvato e non sono morto soffocato”.
Li troveranno i due coniugi di questa ultima tragedia, il morto numero 102 e il 103 per alluvione in terra di Liguria dal 1970 ad oggi, solo nel pomeriggio del giorno dopo, sepolti dal terriccio, dalle pietre, dall’impasto di morte che li ha ghermiti in quel luogo che, con il cielo azzurro, il sole e tutto quel verde intorno era sembrato a loro il posto giusto per invecchiare insieme, isolati, ma a un passo dalla civiltà, dalla costa, dal mare là sotto. Invece alla fine era il posto dove morire, nel cuore della Liguria alluvionata, ferita, diventata il luogo simbolo di un dissesto totale, irrimediabile, ineluttabile.
Era la Liguria una terra leggiadra, “il sasso ardente, l’argilla pulita….” come scriveva il poeta Vincenzo Cardarelli nei versi che ogni bambino genovese ha imparato. Ora la Liguria è una terra striata di fango e di morte, da una alluvione all’altra, in un replay che sembra non fermarsi più, sopratutto in questo autunno ciclonico del 2014.
Trentuno giorni dopo Antonio Campanella i due anziani di Leivi mettono le loro croci in questo cimitero della morte per alluvione, che copre come una carta geografica, pezzo dopo pezzo, torrente dopo torrente, città dopo città, da Levante a Ponente, tutta la Liguria.
I bambini e i ragazzi non vanno a scuola da quattro giorni , una specie di coprifuoco anticipa e segue le bordate dei temporali autorigenerati che “bombardano” il territorio come in una guerra che ha qui il suo fronte più avanzato e solo quel mare caldo, troppo caldo dell’arcobaleno ligure può spiegare, perchè qua tutto si concentra così rapidamente, così luttuosamente.
Mentre lassù a Leivi si è consumata quella tragedia, uguale a tante altre di una lunga storia di gente che paga con la vita un temporale, una pioggia, una frana, ieri pura e semplice alluvione, oggi “bomba d’ acqua”, giù a Chiavari è incominciata una sequenza che ha colpito tutto quell’ex arcobaleno di sole, mare, spiagge, montagne, ulivi, appunto di argille, di viti e pampini.
No, in realtà prima, era cominciato tutto prima a Genova, dove il ciclone aveva assaggiato quella previsione di Allerta 2 con una raffica di trombe marine davanti al porto di Prà-Voltri, che avevano sollevato come fuscelli i container posati sulle banchine e li avevano fatti volare via. Scene da Caraibi, da tifoni monsonici, quelli con i nomi dolci che gli yankees aspettano per giorni, evacuando le città e che noi vedevamo solo nei cinema o alla tv, pensando di essere al riparo.
Poi, dopo l’ora di cena il temporale autorigenerante è arrivato dal mare a Levante, ha solo sfiorato il monte “sacro” di Portofino ed è andato a ficcarsi nel Tigullio, risalendo l’entroterra e scaricando i suoi oltre 200 millimetri d’ acqua nella Valfontanabuona, proprio sopra Chiavari.
Due ore di pioggia, come a Genova tra il 7 e 8 ottobre scorso, come a Genova nel tragico 4 novembre del 2011, quando il torrente Fereggiano si portò via sei vite, tra le quali quelle di bambini e ragazzi, , come una settimana prima nelle Cinque Terre dei miracoli turistici, sfregiate sopratutto a Vernazza e Monterosso, come a Sestri Ponente, un anno prima, 2010, dove il rio Molinassi seminò la distruzione nella delegazione più popolosa, come cento altre volte dal 1970, diventata anche erroneamente la data d’inizio della sventura alluvionale, come se solo da allora la Liguria dovesse incominciare a pagare il conto degli scempi dell’urbanizzazione scriteriata, della cementificazione selvaggia, del non rispetto del territorio: 17 morti tra il centro di Genova e Voltri.
Già prima si era cominciato a morire, nel 1952, quando la bestia del Bisagno aveva sfondato la copertura mussoliniana del suo alveo realizzata nel 1930 e aveva strappato cinque vite..
Due ore di pioggia nel novembtre fatidico del 2014 e incomincia la danza di morte e distruzione che non è ancora finita e lascia la sua scia di fango e distruzione da quella montagna di Leivi fino all’estremo Ponente alla piana ubertosa di Albenga, dall’altra parte dell’arcobaleno, dove martedi sera le bombe annichiliscono le piantagioni di basilico e di frutta.
Due ore di pioggia con il preannuncio dei previsori, anticipate questa volta di giorni e giorni con le scuole chiuse e le mappe colorate che indicano l’andamento dei temporali. La macchia nera su quelle cartine vuol dire tout court alluvione.
E allora seguiamola questa mappa che macchia, sfregia sopratutto Chiavari circondata di colpo dallo straripamento dei suoi torrenti. Va bene l’Entella che ha un alveo largo, segna come un confine della città, della sua placida distensione dalla spiaggia a quell’entroterra ricco di aziende, di chiese, di paesi “storici” come san Colombano Certenoli, san Salvatore dei Fieschi e poi in su la Valle fontanabuona con Carasco, Leivi, Borzonasca. Ma nella notte nera sono usciti anche il Ruperaro, torrente “cattivo”, che invade il cuore storico della città, il “carrugio dritu”, salotto buono del commercio frequentato dalla solidissima borghesia chiavarese, pieno di negozi anche molto smart, di caffè storici, di teatri come il Cantero, dove una volta si assegnavano gli Ulivi e le Fronde d’oro, massimo premio per i liguri nel mondo.
Una catastrofe che porta l’acqua in quel centro a quasi un metro d’altezza colassando il commercio, ma che nei quartieri intorno sale molto invadendo box, garages, sptto passi, i piani terra delle case, come se la città diventasse un immenso lago, che imputridisce centinaia di negozi, fa galleggiare centinaia di automoili, sbriciola muri, spiana giardini, abbatte distributori di benzina.
E’ acqua e fango e poi sono le frane come un bollettino di guerra dalle frazioni periferiche e poi, mano a mano che si sale su nei paesi, è un vero disastro dai danni incalcolabili. Il sindaco della città Roberto Levaggi, un ex democristiano, poi diventato assessore regionale di Forza Italia e oggi primo cittadino moderato e saggio, corre di persona a salvare le persone in difficoltà nella notte più buia, insieme a una macchina della Protezione Civile che questa volta è scattata come una molla con tutti i mezzi possibili, perfino gli elicotteri, che soccorrono dal cielo una donna incinta rimasta imprigionata in una casa come quella di lassù a Leivi.
La striscia nera del “temporale uguale alluvione” poi picchia nel Ponente ligure, sfiorando di nuovo la grande Genova e qui scopri i nomi di altri torrenti come il Teiro di Varazze che sembra una bestia indomabile, ma che non esce dagli argini e ,quindi, non sfregia la città del Ponente come è capitato a Chiavari e al suo territorio. La spiegazione te la darà il sindaco Alessandro Bozzano e servirà di lezione per un futuro che appare difficile ovunque. “ Sono stati investiti quasi duecento milioni per mettere sotto controllo il Teiro, mancano ancora molti lavori, ma quelli conclusi hanno tenuto nelle briglie il corso d’acqua.”
Poi si arriva a Albenga e Andora, estremo confine della provincia di Savona, dove le “bombe” cadono quasi venti ore dopo quelle che hanno marchiato il Chiavarese e qui il fiume che si gonfia è il Centa, padre-padrone della piana agricola più importante della Liguria.
Ma il suo letto è ampio, non lo hanno strinato come il Bisagno genovese o come molti altri degli oltre mille fiumi, rii, bei, torrenti, canali che scendono dalle colline e dalle montagne di una terra lunga e stretta tra il mare e lo spartiacque verso il Piemonte, verso l’Emilia.
Così a Albenga i danni sono soprattutto alle coltivazioni, alle serre, a qualche strada, nelle pieghe di un territorio che sale verso le Alpi Marittime.
Insomma la scia nera più nera resta quella del Levante, dove i sindaci dei comuni più piccoli si disperano perchè non c’è strada non tagliata da frane, non c’è frazione di paese isolata da ricollegare e non ci sono soldi, non ci sono palanche per salvare un territorio saccheggiato da troppo tempo. Non ci sono fondi, se non quelli congelati dal “patto di Stabilità”.
Il governatore Claudio Burlando arriva a Chiavari sconsolato, al fianco della sua assessora-candidata presidente Raffaella Paita e annuncia che ci vogliono subito duecento milioni, che il governo li deve mollare, se no falliscono i comuni che non hanno più un euro per tamponare un rio, per alzare un muro.
La ministro ligure della Difesa Roberta Pinotti manda l’esercito, paracadutato dopo il bombadamento dove i proiettili dal cielo hanno fatto più danni.
Corri, corri scappa, salvati dall’inferno di acqua e fango, di fulmini e saette dal cielo, dal vento, dalle trombe d’aria. Era la Liguria una terra leggiadra ora è la terra del disastro ambientale idrogeologico più marcato in un paese che frana ovunque. A chi toccherà la prossima volta? Quanti Allerta saranno ancora lanciati? Quanti centimetri d’aqua precipiteranno sull’arcobaleno della liguria? Si salvi chi può.