Genova nuove dinastie e miliardi: Malacalza, Volpi, Fogliani

di Franco Manzitti
Pubblicato il 25 Agosto 2015 - 06:17| Aggiornato il 17 Aprile 2020 OLTRE 6 MESI FA

Ma hanno meno sprint di esposizione pubblica, quella che aveva Riccardo Garrone, scomparso da tre anni, il leader solitario della seconda generazione. I figli Alessandro, Edoardo, Vittorio sono impegnati nei grandi business famigliari, ma non amano la ribalta pubblica, sopratutto dopo essersi tolti il peso della Sampdoria che hanno ceduto all’istrionesco e funambolico Massimo Ferrero, detto er Viperetta, diventato una specie di superstar tv, grazie alle imitazioni di Maurizio Crozza.

E così mentre prima si pensava che ogni cosa potesse essere risolta nella Genova declinante, tra gli anni Ottanta e il terzo Millennio, da Garrone (e così era con tante iniziative, dal salvataggio del Carlo Felice, teatro dell’Opera dai quattro soldi sempre mancanti, fino alla Sampdoria) oggi se c’è un problema, ecco saltare fuori il nome dei Malacalza.

L’operazione Carige ha esaltato questo meccanismo di riferimento perchè la family aveva già la sua buona fama, aveva combattuto, inorgogliendo i genovesi, la disfida Pirelli, aveva cercato di insediare uno stabilimento per la costruzione e l’immediata spedizione dei suoi maximagneti dalle banchine del porto di Genova e quei quaquaraquà degli amministratori pubblici, da Burlando, allora presidente di Regione a Marta Vincenzi, allora sindaco di Genova, a Luigi Merlo, presidete dell’Autorità portuale non avevano trovato nello sterminato porto genovese settantamila metri quadrati, che invece sono spuntati nel porto di la Spezia.

Sarà un po’ matrigna, questa città, o poco efficiente nella ricerca di soluzione per gente che vuole fortemente “intraprendere” come Malacalza?

La storia Carige ha dimostrato che, invece, la predisposizione generosa, ma soprattutto la capacità di fiutare il business, possono trovare spazio anche nella ex città degli scagni, nei corridoi riservati, silenziosi ma anche spettagolanti di un establishment sempre più ristretto o obbligato a guardare fuori dalla città.

E dietro i Malacalza, che con la vendita ai russi della Trimetal ai russi sono diventati liquidissimi, e con i contropiede nello stadio dei Pirelli sono diventati ancora pià liquidi, ci sono le nuove palanche degli altri genovesi o liguri che sono decollati, mentre Genova invece volava sempre più bassa e canbiava i connotati del sua sua spina dorsale finanziaria.

Ecco allora Gabriele Volpi, settantenne di Recco, la mitica città della pallanuoto e della focaccia con il formaggio, che da anni è sulla breccia, che è andato in Nigeria a sfruttare le concessione del petrolio di quel tumultuoso paese africano e a gestirne le infrastrutture e la logistica con 20 mila dipendenti, che era partito con la Medafrica in operazioni di shipping e rimabalza potente in Italia e a Genova, dove è giusto “tornare a posare le ossa”, come diceva la canzone storica “Ma se gue pensu”, inno alla nostalgia zeneise.

Ma qui “posare lo ossa” significa ancora una volta intraprendere. Volpi un uomo deciso, da levantino nel senso di Genova di Levante, appunto Recco, fa operazioni immobiliari colossal tra Recco e Sori acquistando dalla famiglia Sanguineti, quella dell’ex presidente della gloriosa Samp anni Sessanta, una maxi area per costruire una cittadella residenzial sportiva, si prende la mitica Pro Recco di pallanuoto e vince scudetti e Coppe Campioni, si prende lo Spezia Calcio e cerca di salire dalla seria B alla serie A e si mette – soprattutto sulla scia Malacalza, nell’operazione Carige, acquistendo un pacchetto crescente di azioni, che lo porta al 7 per cento.

Di lui che è un po schivo e sempre in viaggio, ma sempre più vivace nella sua Recco, si dice anche che sia il vero uomo ombra della proprietà Sampdoria, che prima o poi si strapperà il velo che lo separa dalla squadra blucerchiata, dimostrando che dietro l’inarrestabile Ferrero c’è lui con il suo solido patrimonio. Ma piovono smentite a raffica come palloni e “colombelle” nella rete di chi osa sfidare la Pro Recco.

Il meno visibile del nuovo gruppo di nuovi intraprendenti, che tra di loro non hanno nulla a che vedere, salvo la concomitanza azionaria, Malacalza Volpi nella Carige, è Gregorio Fogliani, classico self made man, partito da una pizzeria nel centro di Genova, dove serviva ai tavoli e ora diventato il re di Quitiket la società che distribuisce in Italia, in Europa e nel mondo quella carta che permette l’utilizzo dei crediti aziendali per le mense e che il suo genio imprenditoriale trasforma in una carta universale per comprare ovunque e per pagare anche tanti altri servizi.

Un altro fenomeno partito dalla ristorazione, dalle mense aziendali, dai locali di pregio della città, come la mitica “Pasticceria Svizzera” e “Moody”, il bar più “in” della città, per diventare un gruppo da quasi cinquemila dipendenti e affari ovunque.

“Ci pensa Gregorio” – diventa così un altro lasciapassare, che attribuisce a Fogliani, un sessantenne molto pimpante e caldo ogni iniziativa, come qualche anno fa quella di rilevare lo stabilimento balneare del Lido, il più grande d’Europa, un business che poi non decolla e che ora fa gola niente meno che a Flavio Briatore, il quale circola nella Riviera genovese e vorrebbe realizzare un suo Billionaire genovese, magari proprio al Lido, dove un tempo sfavillava quella Genova che sfogava lì la mondanità tattenuta dagli scagni e dalle pruderie delle vecchie storiche famiglie.

Genova è molto cambiata, sotto i colpi della de industrializzazione, della sua nuova economia che vira al terziario, ai servizi, dove ci sono molti più cameriere che operai, ma se vuoi intraprendere e hai idee e capacità di rischio muoviti che qui si può fare.