G 8 in Abruzzo: terremoto e Africa temi scottanti. Ma come uscirne?

di Marco Benedetto
Pubblicato il 5 Luglio 2009 - 13:08| Aggiornato il 13 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Che fare il G8 all’Aquila sia stato, come diceva il giornalista sportivo Gianni Brera, un “sesquipedale errore” lo ha capito anche il suo ideologo, il capo della protezione civile Guido Bertolaso. Se ne parlano i giornali stranieri non è certo motivo di autolesionistica gioia ma solo conferma di quanto più volte scritto da questo modesto sito. È poi altrettanto certo che i comportamenti di Berlusconi, dalle abitudini sessuali agli scherzi goliardici, aggravino la già scadente immagine dell’Italia presso il resto del mondo, dove ormai si pensa, e non per merito di Berlusconi, che l’Italia sia una specie di gigantesca Gomorra.

Le inadeguatezze del governo Berlusconi sono ben note a tutti e la lista è lunga, dalle leggi ad personam alla mancata risposta al bisogno di riforme che affligge l’Italia (anche se poi qualche dubbio su quali esse siano e a quale logica politica esse rispondano può anche venire: che non sia una delle vuote parole d’ordine che ogni tanto diventano moda?). Gli italiani hanno anche espresso un chiaro giudizio negativo, visto che due terzi di loro non hanno votato Berlusconi. Ma le critiche che vengono dai giornali stranieri sono più di colore che di sostanza.

Ancor più discutibile è il giudizio dei giornali inglesi sulle frequentazioni femminili di Berlusconi  e sul fatto che stia divorziando dalla moglie, dal quale giudizio deriva il fatto di una non qualificazione di Berlusconi a guidare il G8. Sono arrivati a scrivere che i guai di Berlusconi oscurano quelli del primo ministro inglese Gordon Brown, cosa che è nei sogni di Brown e degli oppositori di Berlusconi. Si tratta tuttavia di un caso che in inglese si definisce “self delusion”: Berlusconi ha avuto solo il 35 per cento dei voti e il partito di Brown ben il 16.

Ma si sa,  gli inglesi hanno sempre guardato l’Italia dall’alto in basso, come si fa con una colonia (e quello eravamo, ancira 150 anni fa, mentre loro dominavano il mondo), ma nel caso specifico è un po’ come se un giornale italiano avesse scritto (e uno inglese gli avesse fato eco) che Carlo, principe ereditario, non era gradito, nella sua visita in Italia, perché aveva scritto alla attuale moglie, Camilla, quando era ancora sposato con Diana, che il sogno dellla sua vita era essere un tampax “embeddeb” nelle intimità della signora.

Il fatto più fastidioso di tutti, però, è, l’attacco concentrico che in questo momento è fatto contro l’Italia e il suo Governo sul tema degli aiuti all’Africa. Un errore c’è stato, in tutto dei tanti G8, da parte del forse un po’ troppo facilone Berlusconi e del suo ministro degli esteri dell’epoca, nell’aderire a una iniziativa, quella di devolvere l’equivalente di mezzo punto di prodotto lordo nazionale agli aiuti ai paesi africani.

Subentrato poco dopo a quello di Berlusconi, il governo di sinistra di Romano Prodi, stretto, come tutti i governi a prescindere dal loro colore, dai vincoli imposti dal trattato europeo di Maastricht, non ha trovato di meglio che mettere da parte gli impegni del predecessore, in attesa di tempi migliori. Tornato Berlusconi, c’è da credergli, una volta tanto, quando dice che il ministro delle finanze, Giulio Tremonti, gli ha impedito qualsiasi versamento sul conto Africa: sarebbe obiettivamente difficile fare ingoiare agli italiani,destra e sinistra, un aumento di tasse così motivato; o negare ai sindacati degli statali un aumento di stipendio per questo.

C’è anche di più, oltre al piccolo calcolo politico. Non perché aiutare i più poveri non sia una cosa giusta, anzi. Ma quando questi poveri i soldi che gli dai, invece che impiegarli per combattere la miseria che li affligge, li usano, nel migliore dei casi, per rimpinguare i loro conti esteri, nel peggiore, per comprare armi (da alcuni degli stessi paesi che li hanno aiutati, ovviamente). La grande quantità dei paesi africani sta (in buona compagnia con altri continenti) al top delle varie classifiche mondiali sulla corruzione. Un giornalista del New Yorker, dovendo intervistare il sindaco di Lagos, in Nigeria, ha avuto l’appuntamento a casa del sindaco, ma non a Lagos: a Londra, in una delle strade dove le case costano il doppio che  a Milano o Roma.

Come ha scritto il giornale inglese Guardian (sinistra dura e pura) in tempi non sospetti (1998), il problema della povertà in Africa non si risolve con interventi finanziari. Bisogna creare sviluppo e posti di lavoro e per questo l’Africa, un continente ricchissimo, ha tutte le risorse. Peccato che se le portino via, senza o quasi pagare le giuste tasse, quelle multinazionali che hanno poi sede in quei paesi, soprattutto Inghilterra e America, che ora spingono perché anche gli altri “ricchi” mettano mano al portafoglio. Senza interventi strutturali, noi pagheremmo le tasse per favorire non i poveri africasni sfruttati, ma le multinazionali che li sfruttano.

Il fatto che il Papa abbia parlato a favore dell’iniziativa non stupisce: l’Africa è per la Chiesa il maggiore territorio di missione e con quei governi, corrotti fin nel midollo, ci deve venire a patti.

Non stupisce nemmeno che la causa sia al centro dell’attività caritatevole di due irlandesi di Dublino, il cantante  Bono degli U2 e l’ex cantante Bob Geldof, dei Boomtown Rats. In realtà non si riesce a capire se lo fanno a loro spese (Geldof ha un patrimoni valutato in 30 milioni di sterline, con le case inbtestate a società offshore. Così se noi paghiamo le tasse per l’Africa, lui che le vuol fare pagare a noi, non le paga: armiamoci e partite); o se  invece qualcuno gli rimborsi gli elevati costi derivanti dall’essee sempre in giro per il mondo a perorare la causa.

È imbarazzante, per un italiano che non ha votato Berlusconi, leggere sulla Stampa il resoconto di un incontro a Palazzo Chigi tra il nostro primo ministro e Geldoff. Arrivato in fondo, non puoi non essere solidale con Berlusconi.

La lettura è imbarazzante per l’arroganza di uno che non ha nella sua storia personale (tra moglie e figlie) nulla da insegnare a nessuno, imbarazzante per il tono e l’aggressività, ma anche per l’insistenza di Geldof sul tasto della opportunità di mercato che l’Africa rappresenta. Pensava di parlare a un businessman internazionale (Berluconi, si sa, non nuota molto bene in acque extraterritoriali e la cosa non deve averlo colpito molto)? Oppure quello è l’obiettivo finale dei referenti internazionali dell’ex cantante? Berlusconi, un po’ in difficoltà di fronte alla veemenza di Geldof, è stato bravo. Ha chiesto scusa, ma questa volta non ha preso impegni: devo sentire Tremonti, ne parlerò con Obama…