L’altro J.F. Kennedy: “Dio, patria e franchismo. Un presidente conservatore”

di Gennaro Malgieri
Pubblicato il 20 Novembre 2013 - 12:41 OLTRE 6 MESI FA
L'articolo di Gennaro Malgieri su Libero

L’articolo di Gennaro Malgieri su Libero

ROMA – Altro che democratico, la storia ha dimenticato l’altro J.F. Kennedy, quello conservatore, quello “franchista”, quello che si schierava contro la demagogia dei progressisti europei e americani e quello religioso. “Dio, patria e franchismo” riassume Gennaro Malgieri dalle pagine di Libero, un articolo “revisionista” sulla figura del presidente americano, ucciso a Dallas il 22 novembre 1963. Blitz quotidiano riporta l’articolo originale di Malgieri:

C’è un «altro» John Fitzgerald Kennedy, rimosso, dimenticato, espulso dal pantheon della democrazia. È il Kennedy corrosivo critico del pacifismo e tutt’altro che «politicamente corretto ». Emerge dai suoi due libri che ebbero una straordinaria risonanza al tempo in cui li pubblicò, prima di essere eletto presidente degli Stati Uniti nel 1960. Curiosamente non vengono mai citati dagli apologeti improvvisati di una sinistra che ha dovuto varcare l’Oceano per riempirsi la sacca di nuovi miti dopo il fallimento del comunismo. E hanno incontrato il Kennedy, che gli faceva più comodo. Se avessero sfogliato Why England slept, pubblicato nel 1940, e Profiles in Courage, uscito nel 1956, quando era senatore proiettato verso la Casa Bianca, si sarebbero resi conto che il Kennedy «conservatore» mal si conciliava con l’icona che ne stavano facendo. Entrambi i libri, non a caso, furono pubblicati in Italia dalle Edizioni del Borghese, il primo nel 1964 ed il secondo alla fine di luglio del 1960, a pochi giorni dalla nomination, rispettivamente con i titoli Perché l’Inghilterra dormì e Ritratti del coraggio, questo, nella prima edizione, con una lettera-prefazione di Luigi Einaudi sollecitata dal traduttore che ne promosse la pubblicazione, il letterato americano Henry Furst, compagno d’armi di d’Annunzio a Fiume, poi antifascista, infine vicino ai missini nel dopoguerra. Il primo saggio è una sorta di apologia di Winston Churchill che nel 1938 aveva scritto un libro nel quale a dir poco si mostrava indulgente verso i regimi autoritari europei ed in particolare nei confronti del fascismo. Il giovane Jfk sottoponeva a dura critica le democrazie per la loro incapacità di affrontare la guerra e di produrre uomini politici in grado di esercitare il comando. «Il sistema che funzionerà in tempi di emergenza sarà quello che sopravviverà», scriveva rivolgendo una critica esplicita al «modello» britannico che pure si proponeva come esempio alle democrazie occidentali. Del resto, come è noto, gli inviati a Roma dell’Fbi di John E. Hoover, avevano segnalato che il figlio dell’ambasciatore americano a Londra, Joseph Kennedy, «è a favore del sistema corporativo fascista che tutti gli italiani, secondo lui, accettano di buon grado».

Mentre gli informatori da Madrid segnalavano che il giovanotto «auspicava la vittoria di Franco» dopo essersi inizialmente schierato con i «repubblicani». Lanfranco Palazzolo, nella sua originale biografia di Jfk, conferma il sostegno al franchismo «anche durante gli anni successivi». Nel 1950, intervenendo sugli aiuti americani al generalissimo, Kennedy disse: «La domanda che dobbiamo farci prima di decretare aiuti militari a un paese è una sola: quel paese è colpevole di aggressione nei confronti di altre nazioni? Nel caso della Spagna la risposta è no». Dean Rusk, segretario di Stato, confermò subito dopo l’insediamento l’amicizia degli Usa a Franco. E tale la linea rimase. Ci volle coraggio. Quello stesso coraggio che otto uomini politici americani del secolo precedente avevano testimoniato ispirando a Kennedy il suo libro più famoso che nel 1957 ottenne il Premio Pulitzer: Ritratti del coraggio, appunto, che divenne la bibbia della maggior parte degli americani che detestavano la demagogia dei progressisti e degli imbonitori. Un testo caro in ogni tempo ai conservatori d’Oltreoceano non solo perché «tratta della più ammirevole delle virtù umane, il coraggio», ma soprattutto per il fatto che egli ricordò riferendosi a John Quincy Adams che un politico deve essere servitore non del popolo, ma di Dio, dando prova di disprezzare la facile popolarità come gli esempi che i biografati offrivano agli americani. Il libro venne pubblicato in Italia – dove le destre (anche questo è stato dimenticato) sostenevano John Kennedy nella corsa contro Richard Nixon – senza particolare risonanza anche se la prima edizione venne esaurita in breve tempo. Due intellettuali di sinistra, come ha ricordato Palazzolo, Covatta e Rocchi, scrissero che esaltando il coraggio politico ed identificandolo con la capacità di sottrarsi ai condizionamenti di partito è una posizione sostenuta in Italia soltanto dai «reazionari di estrema destra». Il Borghese esultava; i borghesi guardavano a sinistra. E cominciarono a sbagliare nel giudicare Kennedy. Fino ad oggi.