Francia, sorge a sinistra l’astro di Emmanuel Macron, a destra Le Pen vs Le Pen

di Gennaro Malgieri
Pubblicato il 15 Dicembre 2016 - 06:31 OLTRE 6 MESI FA
Francia, sorge a sinistra l'astro di Emmanuel Macron, a destra Le Pen vs Le Pen

Francia, sorge a sinistra l’astro di Emmanuel Macron, a destra Le Pen vs Le Pen (Nella foto Ansa: Marine e la nipote Marion Le Pen)

PARIGI – È Emmanuel Macron l’astro nascente della politica francese e l’ultima speranza di una sinistra, molto poco di sinistra in verità, per tentare di riguadagnare il terreno che le ha fatto perdere François Hollande. Il presidente uscente – e non più rientrante – aveva immaginato di trasmettere senza traumi il testimone al suo primo ministro Manuel Valls, candidato alle primarie del Partito socialista, che si illude (legittimamente)  di poter arrivare a competere con François Fillon o con Marine Le Pen al secondo turno delle presidenziali del prossimo anno. Valls coltiva anche un’altra illusione: prendersi ciò che rimane del Front de gauche, che riproporrà il vecchio Jean-Luc Mélenchon, e tentare la scalata all’Eliseo. Conti troppo ottimistici. E fallaci.

Intanto il delfino “non amato” di Hollande deve guadagnarsi i consensi che non ha nel suo partito e sfidare colui che  sembrava il suo maggiore sponsor, Arnaud Montebourg, già ministro dell’Economia sostituito proprio dal trentottenne Macron. Montebourg, 54 anni, esponente della sinistra del Partito socialista, compagno dell’ex-ministro della Cultura Aurélie Filippetti fino a poche settimane fa anche lei sostenitrice accanita di Macron.

Montebourg è avversario insidioso per Valls. Poco compromesso con i fallimenti di Hollande, ha esordito nella sua campagna elettorale per le primarie parlando ai suoi sostenitori di “patriottismo economico”, espressione frequentemente usata da Marine Le Pen. Per nel lessico di  Montebourg “significa favorire in ogni modo la nostra produzione nazionale, perché dall’industria deriva ormai meno dell’11% della ricchezza della Francia. In l’Italia è ancora il 19% e in Germania il 21%. Abbiamo sbagliato qualcosa”.

E pensa che la Francia potrebbe invertire la rotta seguendo le sue indicazioni: “L’80% degli appalti pubblici deve essere destinato alle imprese che producono in Francia. Fra il 10 e il 20% della raccolta delle assicurazioni vita deve essere investito nelle nostre piccole e medie imprese. E ci vuole una grande banca pubblica per finanziare l’industria”.

Di sinistra o di destra? C’è un po’ di tutto nel Partito socialista post-hollandiano di questi tempi. Al punto che perfino un mezzo sconosciuto come Vincent Pillon, ministro dell’Educazione nazionale dal 2012 al 2014, ha deciso di gettarsi nella mischia e domenica scorsa ha annunciato la sua candidatura. Per fare che cosa? Occupare lo spazio di “centro”, così ha detto, tra i contendenti più accreditati.

“Le primarie sono una macchina per costruire l’unità”, ha sottolineato con sicurezza. E’ tutto da dimostrare, dal momento che anche figure decisamente minori, come il deputato ecologista François de Rugy, l’ex-eurodeputato Jean-Luc Benamias ed il frondista Benoit Hamon punteranno a dividere piuttosto che unire. E la lista è destinata ad allungarsi. A fine gennaio il Ps rischia di esplodere piuttosto che compattarsi.

Tutti, comunque, sono uniti nel temere Macron, autore di un buon libro, “Révolution”, nel quale spiega le sue idee, molto citato, molto discusso. E’ un indipendente, da molti impropriamente ritenuto un “centrista”, che spariglia i giochi dei socialisti, ma impensierisce anche i gollisti che non dovrebbero correre rischi con la candidatura di François Fillon. Il giovane rampante sabato scorso ha mobilitato oltre centomila persone a Parigi in una manifestazione che ha fatto tremare Rue de Solferino, quartier generale del Ps dove il segretario generale Jean-Christophe Cambadélis ha tentato di minimizzare la portata del meeting derubricandolo ad “un sasso nello stagno”; un sasso che a fine gennaio potrebbe fare molto male al Ps tanto che i dirigenti del partito continuano ad invitare Macron a partecipare alle loro primarie. Ma il giovanotto non è uno sprovveduto.

Presentando il suo movimento “En marche!” qualche tempo fa a Bobigny, Macron ha criticato i «blocchi» che, a suo giudizio, paralizzano la Francia: «Il sistema ha smesso di proteggere coloro che doveva proteggere (…) La politica vive ormai per se stessa ed è più preoccupata della propria sopravvivenza che non degli interessi del paese». Per giustificare la sua candidatura fuori dai partiti tradizionali, l’ex ministro intende rappresentare  la «speranza» contro le antiche consorterie: «Il mio obiettivo – ha detto – non è quello di riunire la destra o la sinistra, ma di riunire i francesi».

Voluto al governo da Hollande, al posto di Montebourg, Macron è stato iscritto al Ps dal 2006 al 2015. Era  «il più liberale della squadra di governo», si ricorda,  dal quale, non condividendone le ondivaghe politiche, preferì dimettersi  il 30 agosto di quest’anno già immaginando la caduta finale di Hollande ed il disfacimento del Ps. Comprese che poteva galvanizzare quella parte di socialisti scontenti e sottovalutati nelle polverose stanze di Rue de Solferino. E non ci mise molto a realizzare che soltanto con un suo movimento avrebbe potuto rappresentare l’alternativa al vecchio ceto  politico di centrosinistra. A questo scopo in  poche settimane, forte delle simpatie suscitate nel partito e fuori, ha fondato “En Marche!” . Ed una settimana dopo aver lasciato il governo, senza essersi ancora candidato, i sondaggi lo davano già al terzo posto al primo turno delle presidenziali, dietro a Marine Le Pen e al candidato dei Repubblicani, davanti  ai potenziali candidati di sinistra ed estrema sinistra:  Fillon non aveva ancora sbaragliato Sarkozy e Juppé e Valls coltivava segrete aspirazioni che ha potuto rivelare soltanto quando Hollande si è deciso a gettare la spugna.

Macron potrebbe essere il terzo incomodo (per Valls), o addirittura il secondo per Fillon o la Le Pen. Se il gollista sembra passarsela benino godendo dei favori di una destra contigua a quella della Le Pen, questa il “nemico”, per così dire, sembra avercelo in casa. E si chiama Marion Maréchal-Le Pen. La nipote adorata. La più giovane parlamentare della Quinta Repubblica e leader fascinosa almeno quanto la zia con la quale è entrata in rotta di collisione nelle ultime settimane. O meglio, con il numero due del Front National, Florian Philippot. La materia del contendere è l’aborto.

La giovane Le Pen è molto più conservatrice, così come in altre materie, mentre Marine è fondamentalmente laica. A lei sembrano indirizzate queste note polemiche  a proposito della recente legge approvata dall’Assemblea nazionale sul diritto di dissuasione ad interrompere la gravidanza:

“Si tratta chiaramente di un tradimento totale – ha detto in un’intervista – nei confronti dello spirito del testo di Simone Veil. La legalizzazione dev’essere una legge d’eccezione, non un diritto, l’estremo ricorso in un quadro di soccorso, e di cui il governo deve fare di tutto per dissuadere la donna. Oggi il semplice fatto di voler dissuadere la donna dall’aborto è percepito come un attentato a questo diritto e il bambino non è considerato come un essere vivente nel quadro di un progetto parentale. Questa deriva risulta terrificante, mentre ogni anno sono 200mila gli aborti praticati e il 10% delle liceali dell’Ile-de-France hanno già abortito, nonostante un migliore accesso alla contraccezione”.

Philippot non ha gradito. La zia neppure. Ma tanta parte del Front National che si riconosce nel movimento cattolico Manif pour tous l’ha elogiata. Una spaccatura sui temi etici, e non solo, metterebbe in pericolo l’esito elettorale dal quale dipenderà il futuro di Marine Le Pen. Anche se c’è chi dice che il suo posto sarebbe presto occupato ed i francesi non dovrebbero neppure imparare il nome chi la sostituirà.