La sfida di Mosca: maxi-accordo sul gas con la Cina da $456 mld

Licinio Germini
Pubblicato il 20 Maggio 2014 - 11:10 OLTRE 6 MESI FA
Il grattacielo di Gazprom a Mosca

Il grattacielo di Gazprom a Mosca

UCRAINA, KIEV – Dietro la sanguinosa crisi ucraina si è ormai innescata una guerra parallela: quella energetica tra Mosca e l’Occidente. E la Russia ha deciso di rispondere indirettamente alle sanzioni di Usa, Ue e Canada con un’accelerazione sul fronte asiatico: preannunciando un mega-accordo per vendere gas alla Cina, dove martedi arriva Vladimir Putin per una visita molto attesa sul fronte economico, ma che rappresenta anche un messaggio politico chiarissimo all’Occidente.

Proprio mentre minaccia di chiudere i rubinetti del gas al governo filo-occidentale di Kiev per il suo enorme debito da 3,5 miliardi di dollari per il metano, Gazprom sembra aver già messo a punto gli ultimi dettagli per la firma di un contratto trentennale dal valore complessivo enorme – 456 miliardi di dollari – che le consentirebbe di esportare in Cina 38 miliardi di metri cubi di gas l’anno a partire dal 2018.

Si tratta di una manovra con cui Mosca mostra di volersi smarcare a sua volta, almeno in parte, dal condizionamento dei legami con l’Europa come mercato di sbocco del proprio metano. Riducendo di conseguenza l’importanza dei gasdotti ucraini, da cui per ora passa circa la metà del gas russo verso il Vecchio continente. L’accordo potrebbe essere siglato già martedi o mercoledi durante la visita ufficiale di Putin a Shanghai, ma per ottenere risultati concreti la Russia dovrà certo investire non poco nello sviluppo della rete di gasdotti che trasporta il metano in Cina. A meno di una settimana dalle elezioni presidenziali in Ucraina, dalla Russia arriva comunque un gesto che potrebbe – a prima vista – sembrare di apertura: Putin ha infatti ordinato la fine delle esercitazioni militari nelle regioni di Rostov, Belgorod e Briansk, vicino al confine, e il ritiro di migliaia di soldati russi dislocati in queste aree.

Questo almeno è quello che ha annunciato il Cremlino. Ma appena poche ore dopo il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, ha espresso forti perplessità sulla veridicità delle parole del presidente russo, affermando che non c’è “alcun segno che sia cominciato il ritiro delle truppe” di Mosca dalla frontiera. “Penso che sia la terza dichiarazione di Putin sul ritiro delle forze armate russe – ha ironizzato Rasmussen – ma finora non si è visto nessun ritiro”. E anche la Casa Bianca ha manifestato dubbi: “Non c’è alcuna indicazione che agli annunci, alle promesse siano seguiti fatti”, ha detto il portavoce Jay Carney, insistendo su quello che Washington definisce l’atteggiamento “non collaborativo” del Cremlino.

Intanto, dall’altro lato della barricata, il ministero della Difesa di Mosca si dichiara a sua volta “preoccupato” per l’intensificarsi dell’attività militare dell’Alleanza Atlantica alla frontiera russa. E il capo della diplomazia di Mosca, Serghiei Lavrov, avverte che la crisi in Ucraina porterà Mosca a “un serio ripensamento” delle sue relazioni con Ue e Nato. Le tensioni tra Kiev e Occidente da un lato e Mosca e separatisti filorussi dall’altro non accennano d’altronde a diminuire, nonostante i ripetuti auspici di una soluzione pacifica alla guerra civile che sta mettendo a ferro e fuoco l’Ucraina orientale e in cui nell’ultimo mese hanno perso la vita circa 130 persone.

A est infatti si continua a combattere. Un soldato ucraino, Ghennadi Beliak, è morto in un attacco notturno dei filorussi a colpi di mortaio sul monte Karachun, nei pressi di Sloviansk, dove sorge una torre di trasmissione tv contesa dai ribelli e dalle truppe di Kiev. Mentre un filorusso – stando al ministero della Difesa ucraino – è rimasto ucciso in un attacco dei pro-Mosca contro un posto di blocco dell’esercito regolare a Uspenka.

La guerra però resta soprattutto economica. E il gas continua in fin dei conti a essere l’arma più potente per la Russia dello ‘zar’ Putin. E così, dopo l’annuncio dell’imminente accordo con Pechino per il metano, il ministro dell’Energia russo Aleksandr Novak non ha rinunciato a lanciare un monito all’Europa: il gas che gli Usa potrebbero vendere in futuro ai Paesi europei – ha sostenuto – costerà fino al doppio di quello fornito finora dalla Russia. L’Ue, insomma, è avvisata. E il Cremlino continua a tenere il coltello energetico dalla parte del manico.