Francia attaccherà Isis. Un Churchill direbbe: target Raqqa

di Lucio Fero
Pubblicato il 15 Novembre 2015 - 13:15 OLTRE 6 MESI FA
Un momento dei soccorsi ai feriti di Parigi

Un momento dei soccorsi ai feriti di Parigi

ROMA – La Francia attaccherà militarmente l’Isis sul territorio che l’Isis occupa e che chiama “Stato Islamico”. Non solo come ha confermato il primo ministro Valls la Francia non smetterà di bombardare là dove già quattro volte ha colpito, non soltanto non fermerà i bombardamenti. Questo alla Francia all’indomani del mattatoio di Parigi non può bastare. Questo è solo e soltanto il minimo che deve fare uno Stato aggredito, equivale al non arrendersi.

Ma la Francia non può non fare altro, più visibile e più simbolico e concreto al tempo stesso. Dopo l’11 settembre gli Usa andarono con un esercito in Afghanistan e con un esercito smontarono lo Stato talebano che faceva da base e retrovia a Bin Laden ed Al Qaeda. Lo fecero perché nessuno Stato può non reagire se i suoi cittadini vengono macellarti per strada, per le strade della propria capitale, dagli uomini in armi di un altro esercito. E se c’è un luogo dove quell’esercito si organizza e ripara, quel luogo va colpito. E anche relativamente in fretta.

E’ una condizione principe, un cardine della ragion d’essere di uno Stato quella di reagire se i suoi cittadini vengono massacrati. Se non lo fa, scolorisce e decade il suo stesso essere Stato. E’ talmente vero che quando gli Usa invasero l’Afghanistan perché circa 3.000 americani erano stati macellati l’11 settembre nessuno Stato o governo al mondo ebbe nulla da obiettare.

Non può, non ha la forza la Francia per inviare un esercito in Siria e smontare l’attuale sede dello Stato islamico. E sappiamo che anche se lo facesse, Isis andrebbe ad “abitare” altrove. Come sappiamo che invasioni sacrosante (Afghanistan) e pretestuose/disastrose (Iraq) compiute dagli Usa non sono alla lunga sostenibili. Eppure la Francia non può non far nulla, non può non punire, militarmente punire, l’Isis. E lo farà, in qualche modo lo farà.

In che modo e con quali risultati ed effetti dipende non solo e non tanto dalle volontà e capacità militari francesi. Dipendono dall’Europa, dai governi e dagli Stati e dai popoli europei. Quel che oggi occorre…servirebbe un Churchill. Servirebbe un leader politico che in maniera chiara, lucida e a tratti perfino ossessiva abbia un solo obiettivo: la sconfitta totale del nemico.

Per Winston Churchill quel nemico era il nazismo. Per molto tempo prima della guerra non furono in molti in Europa a condividere l’opinione, l’ossessione di Churchill. Le opinioni pubbliche erano comprensibilmente pacifiche e pacifiste, negli Usa addirittura isolazioniste (gli americani si occupino solo dei fatti loro) anche dopo che Hitler aveva invaso Polonia, Norvegia, Danimarca, Belgio, Olanda, Francia…

I governi tendevano alla prudenza, al compromesso, alla ricerca, vana, del contenimento del nazismo, e ancor peggio del danno minimo cui accomodarsi e accontentarsi. Erano, sono tentazioni umanissime, comprensibilissime. In questo contesto quel “matto” di Churchill ebbe chiaro che l’unica salvezza era la sconfitta totale del nazismo.

E la conservò per tutto l’anno che la Gran Bretagna combatté da sola senza nessun credibile pronostico di vittoria. E fece Churchill della sua ossessione una identità politica, una bandiera della sua nazione e una strategia di guerra di tutti gli eserciti alleati. E in nome di questa sua ossessione Churchill, il conservatore uomo d’ordine Churchill, cercò e realizzò l’alleanza con la Russia di Stalin.

Ci vorrebbe oggi un Churchill che dicesse: obiettivo Raqqa. Raqqa, la capitale dell’Isis. Obiettivo, target militare qui e adesso. Colpire in forze Raqqa non farebbe finire una guerra che durerà di certo anni. Non annienterebbe l’Isis. Ma direbbe che l’Occidente non si fa scannare la sua gente ai tempi e ai modi dell’Isis. Direbbe che nella guerra non ci sono solo i “leoni e lupi”, così Isis battezza i suoi, e il gregge indifeso dei cittadini di Parigi, Londra, Roma…Direbbe che quello che Isis chiama i paesi “dell’abominio e della perdizione” reagiscono, vivono, lottano e, pur amando la vita, sanno impartire anch’essi la morte.

Un Churchill…Obama non lo è stato, non lo è e comunque è troppo tardi perché lo sia. Hollande ha avuto il coraggio di dire che è guerra ma ha molto dio più da spendere che il coraggio appunto dei momenti e delle parole drammatiche. Cameron è molto di più un Chamberlain che un Churchill. Premier italiani abilitati dalla storia a questo ruolo non ce ne sono, quindi ovviamente neanche Renzi. La Merkel, forse, un po’. Ha la durezza, la determinazione e la visione lunga della politica. Ma la Germania vive e sconta il peccato originale delle guerre mondiali scatenate dai tedeschi e comprensibilmente ha il tabù dei massicci interventi militari all’estero.

Servirebbe un Churchill, ma l’Europa stentò a darselo un Churchill fino agli accordi di Monaco e rischiò di non darselo un Churchill fino a che non fu con l’acqua alla gola o addirittura già sommersa dal nazismo. Oggi un Churchill non c’è, non si vede e, ci fosse, l’Europa allontanerebbe da sé l’amara medicina di averlo. Ma la Francia deve rispondere all’Isis e col tempo toccherà ad altri la stessa scelta politico/militare. Se da qualche parte c’è un Churchill in Europa verrà il suo drammatico e tremendo giorno.