Il mondo gira sul debito: 199mila mld. Smetti di pagare e salta…il benessere

di Mino Fuccillo
Pubblicato il 9 Febbraio 2015 - 16:07 OLTRE 6 MESI FA
Papa Francesco (foto Lapresse)

Papa Francesco (foto Lapresse)

ROMA – Qualcuno ha un’idea di quanto sia il “debito globale”, cioè quello degli Stati sommato a quello delle imprese, a quello del settore finanziario e a quello della famiglie? Ce lo dice Danilo Taino sul Corriere della Sera: 199 mila miliardi di dollari misurati dal McKinsey Global Insititute. Qualcuno riesce a immaginare, a “pensare” 142 mila miliardi di dollari? Per aiutare a capire di quali unità di grandezza si tratti ecco un’altra cifre: il debito globale è il 286 per cento, cioè quasi il triplo del Pil mondiale, cioè della ricchezza che il pianeta produce in un anno. Ecco, prendete tutto il mondo, tutte le aziende, i governi, le famiglie, i commerci, i traffici…tutto. E moltiplicate per tre: ecco il monte debiti. Il debito: l’asse su cui ruota l’economia del pianeta.

Debito che aumenta: tra il 2007 e il 2014 è passato da 142 mila miliardi ad appunto 199 mila miliardi. E aumenta la velocità di aumento del debito. Aumenta il debito nei paesi “lenti” quali l’Italia o “immobili” quali il Giappone. Ma aumenta anche nelle economie “fast” come quelle anglosassoni. Aumenta nelle società scandinave della flexsecurity, aumenta nel capitalismo insieme di Stato e selvaggio della Cina. Aumenta negli Usa e in Brasile, in Africa e in Europa una volta dell’Est. Qualunque sia il sistema politico/sociale, qualunque sia il modello economico/istituzionale, il debito aumenta. Tutti gli Stati e le società contemporanee poggiano sul debito pubblico e privato.

Finanziata dal debito è la speculazione. Finanziato dal debito è l’ingrasso smodato di una minoranza della popolazione mondiale. Finanziate dal debito la diseguaglianza e l’ingiustizia sociale. Ma finanziati dal debito anche l’impresa che dà lavoro e reddito e i consumi oltre quelli di sussistenza. Finanziati dal debito la qualità della vita, il risparmio, la sicurezza familiare, la salute pubblica e privata, il welfare. Finanziati dal debito il surplus alimentare, la produzione di energia e il circuito dell’istruzione. Finanziati dal debito i vizi e le storture del capitalismo finanziario e anche le virtù di una società degli umani dove a miliardi escono dalla condizione di appena ieri: la concreta possibilità di morire di fame, freddo, miseria e malattia.

Il debito è il motore, la benzina, il perno su cui viaggia e ruota ogni forma di economia sul pianeta: le cifre stanno lì a dimostrarlo senza possibilità di equivoco. Da qui alcune conseguenze di fatto.

Primo: se qualcuno smette di pagare il debito, se qualcuno teorizza che il debito non si paga e se questo qualcuno non viene messi in condizione di contrarre altri debiti che poi non pagherà, allora salta non solo la speculazione e l’ingrasso dei ricchi, salta l’intero sistema del benessere in cui vivono gli europei, gli americani del nord del continente, gli australiani e nel quale hanno messo piedi i sudamericani, i cinesi, gli indiani, i russi…Piaccia o no la forma dominante e assoluta che oggi “l’uomo economico” è ad ogni latitudine e sotto ogni regime e ideologia quella della massimizzazione del credito e del debito. Gli umani lo fanno da secoli ma mai in maniera così diffusa, totale, massiccia, crescente.

Secondo: ogni lettura e ipotesi e predicazione di ridisegno del mondo, compresa quella francescana del Papa, devono tener presente e assumere sia il dato del debito globale sia l’intreccio nella sua natura e funzione. Il debito contiene, cumula e fonde la condizione perché vi sia sviluppo e dignità umana e la condizione perché vi sia ineguaglianza, ingiustizia e, a fasi ricorrenti, caos, accaparramento, impoverimento.

Questa natura complessa, questa duplice e contraddittoria funzione sociale del debito sfuggono sia ai teorici della “decrescita” sia ai nostalgici del tempo (mai esistito in verità) in cui tutto era produzione materiale, sia ai colpiti e feriti nell’animo dalle evidenti ingiustizie e soprusi. Tsipras e su scala incommensurabilmente più alta e credibile Papa Francesco in realtà non riescono a porre, neanche a mettere a fuoco la questione di un mondo e di una economia “altre”. Entrambi restano all’interno di questo mondo con le sue coordinate. Pensano però di mitigarlo e lenirne le ferite con una massiccia attenzione al bisogno sociale e ai poveri. Non si tratta di alternativa storica al capitalismo finanziario ma di pauperismo antico e nobile restaurato.

La stessa, proprio la stessa economia che non fa mangiare ogni giorno un miliardo di umani è quella che produce quanto cibo basterebbe per farli mangiare ogni giorno e ce ne sarebbe d’avanzo. Gli altri sistemi economici sperimentati dall’umanità non sono stati finora in grado di produrre il cibo sufficiente a sfamare tutta la popolazione. Rimpiangerli come fanno da diversi pulpiti (e dio perdoni l’accostamento) il pauperismo etico francescano, l’eterna Vandea della reazione alla Le Pen o Salvini, o la sinistra “compassionevole” alla Syriza o Podemos affascina ma non aiuta.

Il marxismo che tentò una filosofia della storia non scelse la classe operaia perché i meno abbienti o i poveri fossero “migliori”. Il marxismo supponeva che il lavoratore salariato fosse o dovesse essere il centro, il protagonista dell’azione politica e sociale non perché fosse il più buono o il più meritevole. Ma perché quello che, facendo il suo interesse di classe sociale, scardinava l’assetto fondamentale della produzione capitalistica e cioè la privatizzazione dl plusvalore. In altri e più semplici termini stare con i poveri è secondo la tradizione storica, culturale e politica della sinistra cosa buona e giusta solo se cosa utile alla modificazione dei rapporti di produzione. Altrimenti è carità che nulla c’entra con la modifica dell’asse su cui gira il mondo.

Il marxismo divenuto politica viva e solidificato in Stati e partiti e nazioni ha fallito ed è stato sconfitto. A sinistra, almeno in Europa, sembra essere stato sostituito da un pauperismo populista che fa da manto nobile alla difesa del ceto medio delle professioni e degli impieghi. Questo pauperismo populista, non a caso affascinato dalla predicazione francescana (questa più coerente e solida dei vari Tsipras d’Europa), postula un debito pubblico e privato ontologicamente crescente. E in questo incredibilmente coincide con il postulato su cui poggia la speculazione finanziaria. La proposta politica e sociale di un mondo “altro” diventerà, se mai verrà, credibile se e quando qualcuno individuerà l’interesse, di ceto o di classe o di gruppo, il cui perseguimento consentirà di garantire benessere limando se non il debito almeno il suo incremento.

Finora nessuno ci ha provato o quasi neanche a pensarlo un modello davvero “altro”. Finora il tanto disprezzato riformismo è la sola lontana approssimazione disponibile di questo mondo davvero “altro”. Il resto sono encomiabili prediche, roboanti comizi, lamenti, recriminazioni e pretese di chi vuole stare più comodo o almeno comodo come stava prima nel mondo dove il debito globale è tre volte la ricchezza prodotta dal pianeta in un anno. Senza quel debito vivremmo tutti con i consumi più o meno dei nostri nonni, noi che si siamo infatti abituati a chiamare “austerità” il vivere con i nostri mezzi, il vivere senza fare debiti pubblici e privati ci sembra, ci risulta insopportabilmente austero. Fa un po’ tenerezza e un po’ pena e desta più di un’angoscia lo spettacolo d’arte varia dei sempre più che da destra e sinistra quel debito vogliono disconoscerlo per liberarsi così dell’austerità. Lo sviluppo e il benessere del pianeta e dei suoi miliardi di abitanti sono fondati sul debito globale. Ma di troppo debito si soffoca e si muore, uno per volta magari, paese per paese. E ci si fa male tutti insieme a continenti interi. Indietro non si torna, avanti non si sa come andare. E qui e adesso è pieno di santoni e guru, monaci ignoranti e dervisci danzanti dell’economia e società “altre”.