Pagelle campagna elettorale: Berlusconi 7 Bersani 6 Monti 5 Grillo 4 Ingroia 3

Pagelle su come si muovono, come si mostrano, pagelle sulla professionalità da campagna elettorale e anche un po’ sulla loro professionalità nel mestiere di cittadino. Pagelle che non indicano né consigliano voto, pagelle “tecniche”. Berlusconi media del sette, Bersani sei pieno in media, Monti media del cinque, Grillo media del quattro e un po’ più, Ingroia tre in tutte le materie.
Pagelle campagna elettorale: Berlusconi 7 Bersani 6 Monti 5 Grillo 4 Ingroia 3

ROMA – Pagelle da campagna elettorale: Berlusconi strappa un sette, Bersani conquista un sei “pieno”, Monti non si emancipa e non schioda dal cinque che è l’eterno voto di chi “potrebbe fare di più”, Grillo si becca un quattro che non è un voto in condotta, Ingroia prende un tre e se lo merita tutto.

Pagelle di campagna elettorale, giudizi su come si muovono, su come si mostrano, su come interpretano la parte che si sono assegnata. Giudizi che non sono voto elettorale e neanche indicazione di voto e neanche previsione di risultato. Sono giudizi estetici e soprattutto giudizi “professionali”. Si prova quindi a valutare quanto siano “professionisti” appunto della campagna elettorale. Giudizi estetici e professionali che però non ce la fanno ad espellere del tutto il giudizio etico, cioè la misurazione in pagella di quanto siano professionisti anche nel difficile e quasi abbandonato mestiere di cittadino.

Silvio Berlusconi

Voto 10 in pagella nella materia “Riassunto e compendio”. Berlusconi riassume e compendia alla perfezione la “sua” gente. Nessun altro leader politico è  così naturalmente identico al “suo” elettorato. Berlusconi non si identifica, Berlusconi è l’italiano, la gente per cui la colpa o la responsabilità è sempre di qualcun altro, quelli che hanno già dato, quelli che sanamente se ne fregano di tutto, tranne che… Berlusconi è questa Italia, quando la chiama a sé si guarda allo specchio e questa Italia si specchia in lui. Si trovano e ritrovano con gioia e semplicità. Berlusconi ha questo 10 in questa materia, e avrà con i suoi alleati circa il 30 per cento dei voti il pomeriggio-sera-notte del 25 febbraio.

Voto 4 in pagella per le cose che dice. Panzane come l’Imu che viene sostituita da tasse su alcol e giochi, come “l’attivo dell’Italia” di seimila miliardi a fronte di duemila di debito (non è “attivo” è ricchezza, nei seimila miliardi a garanzia dei duemila di debito pubblico c’è anche casa tua, altro che patrimoniale), come l’ammirazione che tutti i leader del mondo provavano per lui. E tranelli come il raccontare che, non fosse stata per la congiura ai suoi danni, l’Italia vivrebbe felice senza disoccupazione, debiti e guai vari. Dice cose da 4 in pagella ed è un voto gentile.

Voto 3 in pagella per la gente con cui si accompagna. Gente impresentabile, sia quella in lista sia quella fuori. Impresentabili non secondo i canoni della legalità, e neanche quelli della decenza e opportunità. Impresentabili in qualunque consesso civile che abbia rispetto di sé.

Voto 10 in pagella per la sua pedagogia. Berlusconi ha educato e insegnato, con successo. Il suo assioma fondamentale e cioè che la democrazia sia in fondo il gioco dell’asso pigliatutto, è diventato senso comune. Il corollario dell’assioma, e cioè che per prendere tutto tutto va promesso tanto… è diventato comportamento di massa. Berlusconi non solo ha un elettorato, ha un popolo.

Dieci, e poi quattro e poi tre e poi dieci: fa 27. Diviso per quattro materie fa quasi la media del sette. Ed è questa la media in pagella di Berlusconi.

Pierluigi Bersani

Voto 8 in pagella per la materia “Tasse chiare, parole lunghe”. Bersani ha detto, anzi scandito: “Niente patrimoniale e niente condoni”. Ottimo programma in materia di fisco, affidabile e credibile. Fossimo in un paese “razionale” (ma quale paese lo è mai?) dovrebbe bastare da sola questa posizione a fargli vincere le elezioni.

Voto 5 in pagella, l’eterna insufficienza del Pd in tema di spesa pubblica. Bersani la difende tutta, sempre e comunque e non riesce a farsi una ragione e un conto che “niente patrimoniale e niente condoni” più Imu più leggera per i non ricchi più meno Irpef e Irap si fa solo se alla spesa pubblica le togli almeno trenta miliardi.

Voto 4 per l’aria di “Unione” che spira dalle sue parti. E non è uno spiffero: non a caso sul no alla patrimoniale Bersani si è perso la Camusso, cioè la Cgil. Non a caso sul no alla patrimoniale Vendola ha avanzato “distinguo”. La sensazione, l’aria è che al governo sarebbero intimamente instabili: le migliori intenzioni e le più praticabili idee in confezione ed involucro che si strappano e lacerano un passo sì e l’altro no.

Voto 7 a Bersani nella materia…”Bersani”. Deve portare la croce e cantare, rassicurare e far sperare, essere concreto ma sparare slogan… Come tutti, più di tutti perché lui e il suo partito sono il centro di ogni attacco, lungo tutto l’arco del fronte, da Storace a Ingroia il nemico principale è il Pd. Anche dentro il partito c’è una lunga e affermata tradizione a farsi male da soli. Questo sette se lo merita tutto e non è di incoraggiamento ma di constatazione.

Otto più cinque, più quattro, più sette: fa 24. Diviso per quattro materie fa una perfetta media del sei ed è quella che Bersani ha in pagella.

Mario Monti

Voto otto per l’idea, la voglia, il richiamo di “Federare i riformisti”. Cioè tutti quelli, a destra, a sinistra, al centro o dovunque si trovino e si siano trovati, che si sobbarcherebbero la fatica e la speranza di cambiare i connotati dell’Italia come è.

Voto quattro per l’omissione, l’amnesia, la rimozione del dato di fatto sociale e politico per cui i “riformisti”, a destra, a sinistra, al centro e dovunque, in Italia sono minoranza, molta minoranza, molto minoranza.

Voto tre per non aver avuto il coraggio, la capacità, la voglia di andare da solo. E per obbligare in qualche modo chi votasse per lui a votare anche per Fini e Casini. E per l’odor di sacrestia da cui si è fatto avvolgere.

Voto cinque per non averlo detto prima e subito che il Pdl non gli faceva fare una giusta legge anti corruzione, che il Pd non gli faceva fare una giusta legge pro precari, che Pdl e Pd e tutti i partiti non gli facevano tagliare le Province e la spesa della politica. Lo dice adesso, tardi. Tanto tardi da lasciare il dubbio se sia la verità o una scusa.

Otto più quattro, più tre più cinque: fa 20. Diviso quattro materie, media del cinque che è il voto da campagna elettorale per Monti.

Beppe Grillo

Voto sette nelle materie “Presenza, prontezza e attenzione”. È vigile e svelto Grillo in campagna elettorale. Inventa, crea, realizza. Grillo c’è sempre e abbondante: un sette pieno in comunicazione ed empatia.

Voto quattro, quattro pieno che Grillo di becca per ripetuto e sistematico spaccio di ignoranza. È legittimo non sapere un tubo di organizzazione del lavoro, legislazione del lavoro e accordi sindacali in Germania o negli Usa. L’ignoranza in materia non ha mai impedito a nessuno di fare il ministro in Italia, anche del lavoro. Però spacciare che negli Usa e in Germania “le aziende sono dei lavoratori” è spaccio di ignoranza. Con l’aggravante di travestire, contrabbandare l’ignoranza più classica e piena con la più nuova delle verità. E le aziende in Usa e Germania sono solo uno dei possibili esempi di, diciamo così, manifesta non competenza.

Voto tre per il bastone che sempre Grillo agita. Gli altri, i diversi da sé sono sempre sub umani, caricatura dell’umano, umani approssimativi e quindi “da cancellare”. Web e bastone, il primo praticato ma il secondo sempre minacciato. Minacciato a chi, chiunque sia, non si arrende e prostra ai piedi del nuovo mondo che avanza. Tre, ma è un voto generoso che tiene conto dell’attenuante interna dell’ignoranza a se stessa: evangelicamente, non sempre Grillo sa quello che fa.

Voto tre per l’opportunismo manifesto che richiede seguaci almeno un po’ volenterosamente ebeti per la circostanza: “Sindacati da cancellare, cancellati dalla storia… tranne i Cobas e la Fiom con cui abbiamo fatto delle cose insieme”.

Sette più quattro, più tre e più ancora tre: fa 17. Diviso quattro fa quattro e un po’. Ed è la media del voto in pagella di Beppe Grillo.

Antonio Ingroia

Voto tre per la cupezza, del look, dell’eloquio e della concezione del mondo abitato solo da “poteri neri” e “cavalieri della giustizia”.

Voto tre per aver riunito e per essersi messo alla guida della coalizione degli “sfigati attempati”. Quelli di mille sconfitte, non elettorali ma storiche. E mai stanchi, mai domi, mai consapevoli della propria sconfitta. I Diliberto, i Ferrero, i Bonelli…: tutto il meglio e il peggio dell’obsoleto e rancoroso e presuntuoso in una sola coalizione. La politica più stantia al servizio della Rivoluzione!

Voto tre per il suo senso civico. Ha detto, letteralmente: “Bersani non può dare lezioni di anti berlusconismo a me!”. Ha vantato quindi un ampio e manifesto anti berlusconismo. Fino a un mese fa era un magistrato che indagava su Berlusconi. Attesta e legittima quindi che le sue erano un po’ indagini ma soprattutto azioni di anti berlusconismo.

Voto tre per la missione esplicita che si assegna: sgambettare ogni possibile governo di centro sinistra. Ma da anti Berlusconi s’intende. Quindi al missione è: presidiare il casino. Tre pieno perché in Grillo può non esservi consapevolezza, in Ingroia e soci c’è. Grillo può indurre il caos ma non vuole esplicitamente il disastro. Ingroia lo sa, non può non sapere e lo fa apposta.

Quattro volte tre fa una media del tre. Ed è questo il voto di Ingroia in pagella.

E giornali e televisioni che sono gli altri attori della campagna elettorale? Dar voti in pagella non si può e forse non si deve. Certo una qualche responsabilità ce l’hanno anche giornali e televisioni se un paese con quasi tre milioni e mezzo di disoccupati sta appitonato e ipnotizzato davanti a “incubo” come il redditometro (35mila saranno i controllati su quaranta milioni di contribuenti) e davanti a “salassi” come l’Imu sulla prima casa (278 euro la media di esborso della tassa). Incubi e salassi, a crearli stampa e televisione danno una robusta mano. Potrebbero poi fare a meno di “riprendersi” in un cerchio che non si chiude mai: il tal show politico ripreso dalle agenzie di stampa, le agenzie di stampa riprese dalle home page dei quotidiani, i telegiornali che riprendono le home page, i quotidiani che riprendono i telegiornali ed è sempre la stessa mezza frase che gira.

I candidati premier dicono quasi sempre la stessa cosa, basterebbe ricordare che questa e quella l’hanno già detta appena ieri. Già, basterebbe aver memoria, memoria di 24 ore. ma c’è la grande novità qua e là, il test dei fatti: si assicura controllo su quello che il politico dice, se spara cifre e circostanze sballate lo si prende in castagna. Bello, perfetto, bellissimo. Alla sola condizione che numeri, fatti e circostanze stampa e soprattutto televisioni li abbiano a mente quando parlano con il politico. Il che non è quasi mai, pare non sia previsto dal mansionario.

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