Il 2 giugno delle polemiche, identità senza fanatismi

La festa della Repubblica (LaPresse)

ROMA – Le polemiche sulla festa della Repubblica del 2 giugno e annessa parata militare hanno un lato debole che è bene mettere in risalto, perché è la spia di un sentimento diffuso che può diventare pericoloso. Capisco le polemiche sulla parata militare, che oltretutto fatta in una strada che si chiama Via dei Fori Imperiali e che è posta nel bel mezzo delle vestigia dell’antica Roma ha un sapore ormai antistorico. Non tanto nostalgico un po’ fascistoide, ma proprio fuori dalla Storia.

Siamo e sempre più saremo lontani dai fasti dell’antica Roma più che dalla luna. E non è un buon segno, di civiltà e cultura, che una strada asfaltata così larga e di grande scorrimento sia stata fatta segando in due i ruderi dei Fori, quelli imperiali da una parte e quello repubblicano o comunque più antico dall’altra, e seppellendo per sempre sotto di sé una enorme serie di testimonianze archeologiche anziché portarle alla luce e valorizzarle come meritano.

Non capisco invece le polemiche contro la festa in sé, che secondo alcuni quest’anno non dovrebbe essere celebrata per rispetto delle vittime del recente terremoto. Qui ci sono da fare tre obiezioni. La prima è che in Italia ci sono sempre, ogni anno, lutti disastrosi. Quando non sono per un terremoto lo sono per un disastro d’altro tipo, ferroviario, autostradale, scolastico, ecc., e comunque c’è la tragedia permanente dei morti sul lavoro, dei quali abbiamo il triste record europeo.

Forse che le migliaia di morti sul lavoro non meritano il lutto nazionale? La seconda obiezione è che l’identità e i valori repubblicani, che la festa del 2 giugno non fa altro che confermare festosamente come è giusto che sia, sono valori fondanti che reggono anche i valori del lavoro e delle cittadinanza in genere, quella che si usa chiamare anche italianità. In Francia per nessun motivo sospenderebbero la festa repubblicana e nazionale del 14 luglio per la presa della Bastiglia. Detesto i nazionalismi, li ho sempre detestati. Ma un conto è il nazionalismo inteso come tifoseria contro le altre nazionalità, un altro conto è lo spirito nazionale, il riconoscersi cioè senza fanatismi di sorta in una comunità.

Qui in fin dei conti si tratta solo di spirito di cittadinanza, non di nazionalismo in senso più o meno “littorio” o nostalgico. E non avere lo spirito civico delle cittadinanza è un brutto segno. Brutto e pericoloso. E’ come stare su un piano inclinato, sempre più inclinato: prima o poi si finisce ruzzoloni. La terza obiezione è che le vittime del terremoto, come le altre sul lavoro, ecc., si onorano meglio conservando il senso di appartenenza comune. Altrimenti le loro morti saranno ancora più vane. Ogni volta ci si imbarca in mari di retorica. Sarebbe più concreto, utile e civile aiutare i congiunti delle vittime con facilitazioni, prestiti a fondo perduto o a tasso zero, pensioni e altri riconoscimenti utili, non solo retorici e chiacchieroni. Invece anche di fronte ai morti restiamo sempre e solo guelfi e ghibellini da curva sud. Mio padre era un militare. Monarchico. Ma si è sposato il 2 giugno perché voleva sposarsi nel giorno della Festa della Repubblica. Benché fossero gli anni della contestazione di massa, delle lotte operaie e studentesche nonché dell’incubazione del terrorismo anche di sinistra, quando nel ’71 mi sono sposato ho voluto sposarmi anch’io il 2 giugno. Perché era la Festa della Repubblica e perché in quella data, e per lo stesso motivo, si era sposato mio padre. Ho sempre detestato la retorica patriottarda. E molte parole dell’inno di Mameli le ritengo poco meno che demenziali. Così come nella Marsigliese ritengo orrendo il riferimento al “sangue impuro”. Ma gli italiani civili, donne comprese, l’inno di Mameli poiché è il nostro inno nazionale lo ascoltano stando in piedi, alzandosi a bella posta se seduti. Io uso alzarmi in piedi anche quando capita di sentire la Marsigliese. Brutto segno se ci si alza di scatto in piedi solo per un gol allo stadio. O per una celentanata al festival di S. Remo. O quando lo prescrive la messa.

Italiani, guelfi e ghibellini, di sinistra, di destra e di centro, “padani” e “terroni”, uomini e donne, giovani e anziani: facciamo tutti uno sforzo per un po’ più di cittadinanza e identità comune! Ancora italiana. Senza fanatismi.

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