Emanuela Orlandi, Viganò ricorda dopo 36 anni una telefonata che non ci poteva essere: ecco perché

di Pino Nicotri
Pubblicato il 5 Novembre 2019 - 09:19| Aggiornato il 31 Marzo 2020 OLTRE 6 MESI FA
Emanuela Orlandi, Viganò ricorda dopo 36 anni una telefonata che non ci poteva essere: ecco perché

Emanuela Orlandi. Mons. Viganò ricorda, dopo 36 anni, una telefonata con Mons. Panciroli che non poteva esserci: Panciroli non era a Roma ma a Varsavia come dimostra il ritaglio di giornale che riproduciamo

“Monsignor Carlo Maria Viganò rilascia un’intervista con rivelazioni esplosive sul mistero Orlandi”. 

“L’avvocato Sgrò coglie la palla al balzo annunciando altre richieste perentorie alla Segreteria di Stato, con altre allusioni e affermazioni su pesanti responsabilità del Vaticano”.

“Pietro Orlandi a sua volta rivela che è Viganò la sua fonte fino a ieri anonima, fonte – chissà – forse anche sull’asserito grande mistero del camposanto teutonico. E lei, Pino Nicotri, che fa? Non scrive nulla!”.

Beh, sa, una certa stanchezza… Copione ripetivivo. Direi anche noioso, ormai.

“Non si metta a battere la fiacca proprio adesso. E si ricordi di venire in Vaticano al Collegio Teutonico il 30 novembre per la conferenza di Albrecht Weiland sul suo libro Il Campo Santo Teutonico a Roma e i suoi monumenti funerari, come lei stesso ha già anticipato. Intanto mi dica: lei non ha scritto in un suo libro che sull’aereo del primo viaggio pastorale in Polonia di Papa Wojtyla, nel giugno 1983, ad accompagnarlo c’era anche un suo amico polacco?”.

Sì, certo: Jacek Palkiewicz. Che ho conosciuto quando viveva a Bassano del Grappa e gestiva una scuola di sopravvivenza, frequentata anche da manager. Poi è tornato a vivere in Polonia, e ha fatto l’istruttore di sopravvivenza anche per i cosmonauti russi. Il giorno 10 sarà a Roma ospite dell’ambarsciata polacca per parlare di scambi economici tra Italia e Polonia. 

“Bene. Si faccia dire chi altro c’era di italiani su quell’aereo”.

Dubito che dopo 36 si ricordi a memoria tutti i nomi. Però posso chiedere a mie colleghe e amiche polacche di cercarli loro, visto che sono giornaliste.

“Bene, lo faccia. E di corsa”.

Sì, però…

“Però ora la devo salutare”.

L’intervista di Viganò può essere solo quella data l’1 novembre ad Aldo Maria Valli per il suo blog, nella quale il monsignore, che all’epoca lavorava nella Segreteria di Stato vaticana, afferma di avere ricevuto attorno alle ore 20 del 22 giugno 1983, giorno della scomparsa di Emanuela, una telefonata.Stiamo parlando, per mettere a fuoco la dimensione temporale della memoria di mons. Viganò, di qualcosa che risale a 36 anni fa. E che emerge solo ora, dopo 36 anni che sulla scomparsa di Emanuela Orlandi si è costruito un circo mediatico tale che nemmeno un pastore isolato sul Gennargentu può non averne sentito parlare.Dalla memoria di mons.Viganò emerge ora che si trattava di “una telefonata da padre Romeo Panciroli, allora direttore della sala stampa vaticana, il quale mi annunciò che era giunta, appunto alla sala stampa, una telefonata anonima  che annunciava che Emanuela Orlandi era stata rapita. Padre Panciroli mi disse che mi avrebbe inviato immediatamente via fax un testo con il contenuto della telefonata”.

Monsignor Viganò a Valli precisa:

“In quegli anni, dal 1978 al 1989, svolgevo l’incarico, insieme con monsignor Leonardo Sandri, di segretario del sostituto [la carica esatta è Sostituto del Segretario di Stato: ndr], che allora era l’arcivescovo Eduardo Martinez Somalo. Quella sera mi trovavo in ufficio in segreteria di Stato alla terza loggia insieme con monsignor Sandri, mentre il sostituto era assente”.

Strano che Viganò affermi che Panciroli quella sera era in Vaticano in sala stampa e che abbia potuto fare quello che il monsignore ha detto a Viani.

Perché strano? Perché Panciroli invece era a Varsavia, come risulta dal ritaglio di giornale che pubblichiamo, con tutto il seguito della prima visita pastorale di Wojtyla nella sua Polonia. Viaggio fatto in aereo, con ritorno a Roma il 23. Vale a dire, il giorno DOPO la scomparsa di Emanuela e annesse asserite due telefonate: quella arrivata in sala stampa e quella partita dalla sala stampa per Viganò.  

Ma c’è anche un’altra stranezza: come può essere arrivata in sala stampa una telefonata attorno alle 20 se a quell’epoca la sala stampa, che oggi chiude alle 15, chiudeva alle 14?

Alle 20 era chiusa da ben sei ore. E dopo la chiusura al telefono NON rispondeva nessuno, come non risponde nessuno neppure oggi.

Per il semplice motivo che la sala stampa non è un giornale, la cui redazione ha un orario di lavoro anche serale, ma un ufficio che cura i rapporti coi giornalisti.

E che quando è il caso emette dei comunicati per le varie iniziative vaticane, comprese quelle del Papa, e li dirama. Tutto qui. Alle 15 si chiude. E a quell’epoca si chiudeva alle 14.

I particolari che fanno dubitare della fondatezza delle clamorose “rivelazioni” di Viganò sono molti, oltre ai due appena citati, ma per il momento tralasciamo, rinviamo a un’altra puntata.

Per ora limitiamoci a rilevare che a quanto pare Pietro Orlandi ha fatto l’ennesimo passo falso dandosi questa volta la zappa sui piedi. Lui infatti appena lanciata l’intervista di Valli ha dichiarato trionfante:

“Quella che fino a poco tempo fa potevamo indicare solo come fonte ora ha nome e cognome”.

Un nome e cognome di persona che non si direbbe credibilissima: afferma infatti la presenza quella sera in Vaticano di chi invece pare proprio fosse a Varsavia al seguito del Papa.

Come del resto è ovvio trattandosi del responsabile della sala stampa, che del viaggio pastorale in Polonia del polacco Wojtyla doveva ovviamente occuparsene sia per i rapporti coi giornalisti, e non solo di quelli al seguito, sia per la stesura e la diffusione dei vari comunicati riguardo gli avvenimenti e gli incontri durante la visita del Papa nella sua terra natia.

Non dimentichiamo che a quell’epoca la Polonia aveva un regime comunista ed era un satellite dell’Unione Sovietica, due realtà contro le quali Wojtyla era duramente in lotta: tanto da finanziare e supportare in vari modi l’opposizione di massa dell’organizzazione politico sindacale Solidarnosh, di chiara e conclamata ispirazione cattolica. Impensabile che il capo della sala stampa se ne restasse in Vaticano. 

Stando così le cose, appaiono quanto meno premature anche le prese di posizione e dichiarazioni dell’avvocato Laura Sgrò a Valli per diffonderle Urbi et orbi:  

“Sua eccellenza monsignor Viganò aveva riferito anche a me, nella tarda primavera del 2018, nell’ambito delle attività difensive che stavo svolgendo, quanto lei [Aldo Maria Valli, ndr] ha scritto il 1 novembre nel suo blog. Mi aveva, tuttavia, chiesto di mantenere l’anonimato della fonte. 

“Ritengo le sue dichiarazioni molto interessanti. Le ritenni interessanti sin da subito, infatti in un incontro con le autorità vaticane – seppur mantenendo l’anonimato della fonte, come mi era stato richiesto – chiesi verbalmente di approfondire la circostanza della telefonata giunta la sera stessa del rapimento di Emanuela alla sala stampa vaticana e trasmessa, poi, in segreteria di Stato.

“Da quell’incontro è passato più di un anno e non credo sia stata fatta la verifica da me richiesta. Sono contenta che monsignor Viganò abbia deciso di parlare pubblicamente e di liberare anche me dall’anonimato della fonte: la verifica dell’esistenza di quella telefonata è fondamentale, perché indirizza le indagini. 

“Se appena qualche ora dopo la sparizione di Emanuela i presunti rapitori chiedono di parlare con la segreteria di Stato allora è evidente che l’interlocutore è la Santa Sede e non la famiglia Orlandi. […]  Nonostante le mille furbizie con cui ci scontriamo, noi siamo fermi, inamovibili e centrati sul nostro obiettivo: trovare la verità su Emanuela”.

Resta un dubbio. Forse non basteranno altri 36 anni.