ROMA – Renato Farina l’ho preso in giro, criticato e accusato in vari modi, sulla newsletter della mia corrente sindacale Senza Bavaglio, in quella di Giornalisti Oggi e nel mio blog a L’Espresso quando ne ero ancora un inviato. E per un mio pezzo su quel blog Farina mi fece causa e la vinse. Poiché ero a mia volta in causa (sindacale) con L’Espresso, per la querela di Farina mi avvalsi di un avvocato di mia fiducia, motivo per cui dovetti sborsare di tasca mia i 7 mila euro della parcella. Non sono quindi sospettabile di simpatie preconcette verso Farina.
Chiarito questo, trovo francamente incomprensibile la reazione scomposta di molti colleghi che protestano per la recente riammissione di Farina nell’Albo dei giornalisti professionisti, dal quale era stato depennato con la radiazione dall’Ordine avvenuta per i noti motivi il 29 marzo 2007. Faccio notare, a proposito di mancanza di mie simpatie preconcette per lui, che quando l’Ordine di Milano si limitò a sospenderlo per un anno, scrissi su Senza Bavaglio e Giornalisti Oggi che la sanzione era troppo blanda e che Farina andava radiato. Aggiunsi che la radiazione non è una condanna a vita, perché dopo cinque anni chi è stato radiato da un Ordine, compreso quello dei giornalisti, può esservi riammesso.
Nonostante il mio essere stato su Farina chiaro e duro, persino sarcastico, quando molti protestarono perché durante la direzione di Vittorio Feltri scriveva per Il Giornale sotto pseudonimo, non ebbi dubbi nello scrivere a difesa del suo diritto costituzionale a poter esprimere le proprie idee anche su un giornale. Il garantismo, infatti, non è un optional o un cadeau riservato agli amici o a chi ci è comunque simpatico. Strano e deplorevole che non lo sappiano i molti che oggi protestano e si stracciano le vesti per la riammissione di Farina. Per protesta Carlo Bonini si è dimesso dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti e Il Fatto Quotidiano spara ad alzo zero e a palle incatenate.
Non conta nulla che la Cassazione nel giugno 2011 abbia annullato la radiazione comminata nel marzo 2007. Il motivo dell’annullamento non è affatto peregrino: poiché Farina si era dimesso dall’Ordine prima della data della radiazione, ne consegue evidentemente che non si può radiare chi non ne fa più parte.
Resta valida la sospensione per 12 mesi, ma si tratta di condanna espiata. Forse per chi ci è antipatico o nemico le condanne devono essere sempre e solo a vita? Coloro che erano o si dicono garantisti scivolano verso il giustizialismo, col rischio di diventare forcaioli.
Le dimissioni di Farina saranno anche state una furbata avvocatizia, sta di fatto che si tratta di una furbata legittima. Desidero ricordare che quando Giuliano Ferrara rivelò di avere lavorato per la CIA (i famosi servizi segreti Usa), l’Ordine dei giornalisti non poté sanzionarlo in nessun modo perché Ferrara a suo dire aveva svolto il praticantato ed era diventato professionista non mentre lavorava per la CIA, bensì dopo, a collaborazione cessata, ammesso che non se la sia inventata. Ovviamente nessun Ordine può sanzionare un comportamento, per quanto odioso, tenuto prima di entrare a farne parte.
Sono stato tra coloro che hanno sostenuto la necessità della radiazione di Farina perché al soldo del Sismi, il nostro servizio segreto militare.
Di recente però l’allora capo del Sismi, Nicolò Pollari, giurando sul proprio onore ha affermato in un’audizione parlamentare che Farina non è mai stato al soldo dei servizi e che dal Sismi ha ricevuto solo rimborsi per le spese sostenute nella sua attività per il rilascio di alcuni cittadini italiani rapiti in Medio Oriente.
Pollari mente? Può darsi. Ma bisogna dimostrarlo. Rendiamoci però conto che dubitare della parola d’onore di un militare del rango di Pollari è lecito, certo, ma non è dignitoso: a ben vedere, si tratta infatti di una forma di qualunquismo.
Farina è stato accusato di avere intervistato il magistrato Armando Spataro ponendo domande concordate col Sismi per capire come procedesse la sua inchiesta sul rapimento di un imam a Milano organizzato dalla CIA con complicità italiane.
Ma non è compito del giornalista appurare il più possibile come stanno le cose nella faccende per le quali deve scrivere?
Infine: all’epoca di Mani Pulite non erano pochi gli imprenditori, a volte editori, che ricevevano da giornalisti (e direttori) amici soffiate sulle inchieste a loro carico. Raul Gardini non s’è forse suicidato dopo avere saputo da un nostro collega di Milano, reduce da conversazioni a palazzo di Giustizia, che i magistrati lo avrebbero arrestato?
Cesare Romiti non mi ha forse denunciato per possesso di documenti secretati, vale a dire del verbale con la testimonianza del manager Fiat Carlo Signoroni, del quale aveva ricevuto copia da non so quale collega mentre lo stavo utilizzando per un articolo per L’Espresso?
Lo scorso giugno l’Ordine di Milano è arrivato al punto di voler mettere sotto accusa Ferruccio De Bortoli, direttore del Corriere della Sera, per la pubblicazione di una pagina pubblicitaria.
La pretesa di poter giudicare i propri colleghi fa sorridere anche alla luce di non poche sentenze emesse da Ordini regionali dei giornalisti senza che i “giudici” si rendessero neppure conto di celebrare un “processo” illegittimo perché ormai “il reato” contestato era decaduto per decorrenza termini.
Tant’è che poi tali sentenze sono state annullate a livello nazionale. E tralascio le sentenze che secondo alcuni legittimano il sospetto di regolamenti di conti tra “componenti sindacali” o conflitti personali.
Mi limito a far notare che l’Ordine non ha invece mosso un dito neppure quando Panorama pubblicò il famoso rapporto sull’”uranio del Niger”, un documento falso costruito apposta per poter legittimare l’invasione dell’Iraq di Saddam Hussein utilizzando la falsa accusa che con “l’uranio del Niger” l’Iraq produceva bombe atomiche.
Di fatto, il documento pubblicato da Panorama è alla base di un’invasione militare costata una marea di morti e distruzioni, oltre che di una instabilità tutt’ora drammatica in quella parte di Medio Oriente.
POST SCRIPTUM – By the way, ero pronto a dimettermi anch’io se l’Ordine di Milano avesse insistito a volermi processare sulla base di un esposto non solo decaduto per decorrenza termini, ma anche irricevibile perché i suoi allegati dimostravano ipso facto che le affermazioni sulle quali si basava l’accusa erano inventate di sana pianta.
L’esposto è stato presentato dal marito di Natalina Orlandi, sorella della famosa Emanuela scomparsa il 22 giugno 1983, il quale mi attribuiva come contenuta nei miei libri del 2002 e del 2008 “l’ipotesi pseudo-deduttiva-informativa: la minorenne (cioè Emanuela) è stata istigata dalla famiglia a prostituirsi e che i familiari stessi coprissero tale vergogna”. Cose che, pur tralasciando l’italiano traballante, non solo non ho mai ipotizzato per scritto ma neppure mai pensato.
Fermo restando che i libri non sono giornali e quindi non si vede cosa c’entri l’Ordine dei giornalisti.
I colleghi al corrente di questa trista vicenda, compreso Marco Travaglio, sono rimasti tutti zitti. Però si stracciano le vesti contro l’Ordine di Milano che ha riammesso Farina.
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