Salvini, il capo col quid, Natura e storia piene di esempi: e può finire male

di Pino Nicotri
Pubblicato il 4 Marzo 2019 - 08:24 OLTRE 6 MESI FA
Salvini (nella foto con Conte e Di Maio), il capo col quid, Natura e storia piene di esempi: e può finire male

Salvini (nella foto con Conte e Di Maio), il capo col quid, Natura e storia piene di esempi: e può finire male

A quanto pare, il periodo storico attuale è caratterizzato, non solo in Italia, dal notevole aumento del consenso verso chi si pone e si comporta come un capo, anche calpestando eventualmente regole, consuetudini e qualche volta forse persino la legge. Tutte prepotenze che anziché creare biasimo creano invece ulteriore consenso. Vale senza dubbio la pena di fare qualche considerazione in merito. La prima delle quali è che man mano che scompaiono le generazioni che hanno conosciuto la guerra aumenta lo spazio delle generazioni di giovani che la guerra l’hanno vista solo nei film o in tv. E i giovani, si sa, da che mondo è mondo ardono dal desiderio di far vedere quanto sono più bravi e capaci dei vecchi,  gli ormoni li spingono a battersi, all’azione, a far vedere quanto valgono, compreso il menar le mani in senso non solo figurato per affermarsi. Poiché non sanno cosa siano la guerra o tragedie simili, non le temono. E c’è sempre qualcuno che ne approfitta usandoli come massa di manovra e a volte anche come carne da cannone.

Un tale consenso verso chi si atteggia e si comporta decisamente da capo, con annesso desiderio di battersi al suo seguito per farne parte, è un comportamento naturale, sì, ma tipico del branco: vale a dire, di insiemi di esseri viventi i cui membri non sono socialmente molto differenziati tra loro, si equivalgono e differiscono solo per i ruoli riproduttivi, inoltre si adeguano tutti alle decisioni prese da un solo individuo: il Capo. Che detiene il potere senza doverlo spartire con nessuno e senza dover rispondere a chicchessia delle proprie azioni.

Specie tra i mammiferi la figura del capo branco o maschio dominante, detto anche maschio alpha, è diffusa. E notiamo subito che il maschio dominante è, come dice lo stesso termine, sempre un maschio, mai una femmina. Non è come per le api o le formiche, che hanno una regina, cioè un re femmina: regina peraltro non dotata di poteri regali, di comando,  e anche scelta da un insieme di individui, le api operaie, per fare una vita privilegiata sì, cioè senza dover lavorare, ma molto faticosa a causa  della continua produzione di figli. Non è neppure come per i lupi, che di norma hanno una coppia dominante, cioè un lupo e una lupa, e siccome la lupa vive più a lungo non di rado il Capo è lei. Idem per le termiti, che hanno una coppia dominante costituita da un  re e da una regina.

Che anche nelle società di esseri umani il concetto di maschio dominante sia molto simile a quello che esiste tra gli animali lo dimostra il frequente riferimento entusiasta da parte dei suoi fan e seguaci agli “attributi” del Capo e al suo ”avere i c…” o, come ha detto Berlusconi, “il quid”. Fan e seguaci che amano e ammirano anche il “parlare come si mangia”, cioè la rozzezza del linguaggio scambiata per chiarezza così come scambiano le pose “energiche” e la rozzezza dei comportamenti per capacità di decisione e comando e per possesso degli “attributi”, per definizione elargiti al Capo da Madre Natura con generosità eccezionale. Carlo Alberto di Savoia è passato alla storia come “il re Tentenna” perché sempre indeciso e tentennante, segno che non aveva “ li attributi”, che invece sono riconosciuti a Garibaldi. Di Mussolini i fascisti si vantavano che li aveva. Bettino Craxi era ammirato perché decisionista, tutt’altro che tentennante,  e quindi accreditato di avere e saper “tirar fuori i c.”. Berlusconi per i suoi ammiratori ed elettori aveva i c., anzi lui si vantava di averne tre come Bartolomeo Colleoni. E ora ad averli a quanto pare è Matteo Salvini.

Il problema è che la figura del branco e annesso capo è adatta alla vita di insiemi che non si fondono tra loro per creare una società più estesa, e più duratura, ma  anzi si fronteggiano o si affrontano con altri branchi per questioni ad esempio di territorio. Dal quale far  sloggiare il capo branco sconfitto e annesso seguito.  

Le società di esseri umani stanziali e non nomadi hanno, bene o male, spesso cercato di uscire dalla pratica del branco e del capo branco – chiamato re, imperatore, dittatore, khan, ras e con altri nomi in altre lingue in altre parti del mondo –  affiancandogli ad esempio consiglieri, ministri, saggi, ecc., che in qualche modo limitassero, smussassero o mitigassero il suo potere rendendolo meno assoluto. I mongoli di Gengis Khan, in prevalenza nomadi, si comportavano come un branco, estremamente feroce coi vinti delle terre conquistate e con i ribelli, e così facendo hanno fondato l’impero più vasto della Storia, quasi un quarto dell’intero pianeta, per l’esattezza il 22% delle terre emerse. Già comparsi brevemente a Vienna e Venezia, sarebbero dilagati in Europa, Italia compresa, al comando di Batu Khan e Kadan Khan, nipoti di Gengis Khan, se  non fossero tornati indietro per partecipare a Karakorum all’elezione del successore del loro zio. Poi per nostra fortuna anziché tornare in Europa per arrivare fino al Grande Mare, cioè fino all’Atlantico, come avevano intenzione di fare,  i mongoli preferirono invadere la Cina, all’epoca ben più ricca del Vecchio Continente.  

Ma il loro impero durò comunque poco, dal 1206 al 1368, cioè appena 162 anni: nulla rispetto la longevità della Serenissima o del regno di Corea, per non parlare di altri imperi, compreso quello romano e quello bizantino. Durò poco nonostante l’obbedienza assoluta delle popolazioni e la sicurezza dei commerci e trasporti ottenuta con il terrore. E nonostante che i mongoli siano stati i primi in assoluto a emettere e utilizzare banconote per evitare di dover sempre trasportare gli enormi bottini, specialmente quelli di oro e altre merci  preziose.

Il branco infatti non funziona con le società complesse, variegate, composite, per giunta molto estese, tant’è che l’impero fondato da Gengis Khan si frantumò poi in regni noti come l’Orda d’Oro, l’Orda Bianca e l’Orda Blu, dai quali non a caso deriva il nostro vocabolo “orda” intesa come torma di individui: cioè, proprio come branco. Nonostante vi somigli molto, a parola orda non ha nulla a che vedere con la parola latina ordo, dalla quale derivano il vocabolo e il concetto di ordine. Orda viene invece dal vocabolo tartaro persiano che in senso lato significa accampamento, tribù. Tribù accampata su un ben preciso territorio – limitato e distinto da quello delle altre orde – sul quale poter esercitare, ancora oggi, la caccia e il raccolto  della vegetazione spontanea.

Inoltre il mondo esterno è sempre molto diverso da come lo vorrebbe o lo immagina l’orda branco di turno… Spesso non è composto da altri branchi o altre tribù, ma da società più complesse, elastiche, capaci di reazioni non solo sul breve periodo. Lo scontro-incontro con i mondi esterni al branco non sempre è qualcosa di simile a una partita di calcio disputata una volta per tutte da squadre avversarie, con un risultato mai più messo in discussione. Che non sia così lo dimostrano in Europa anche in tempi recenti la storia breve del fascismo e del nazismo, che proprio all’orda mongola si ispirava anche militarmente a partire dallo stesso concetto e pratica di Blitzkrieg (Guerra Lampo).  

Insomma, bisogna stare attenti, frenare gli entusiasmi e sperare che in Italia e in Europa l’attuale grande tifo per il Capo di turno sia solo passeggero. Ogni società umana è priva di equilibri eterni e non è esente da scosse di riequilibrio a volte rovinose, ma la Storia dimostra che i branchi che hanno a che fare col mondo diverso dal loro durano  meno di altre società. E  che i loro Capi osannati per “avere i c.” hanno quasi sempre fatto la fine del… co…..e. Non di rado anche gli entusiasti ammiratori dei loro “attributi”.

Salvini e i ferventi ammiratori dei suoi “attributi” faranno eccezione?