Serena Mollicone, la morte del padre Guglielmo riapre il mistero 19 anni dopo

di Pino Nicotri
Pubblicato il 2 Giugno 2020 - 11:51 OLTRE 6 MESI FA
Serena Mollicone, la morte del padre Guglielmo riapre il mistero 19 anni dopo

Serena Mollicone, la morte del padre Guglielmo riapre il mistero 19 anni dopo (foto ANSA)

Serena Mollicone, il padre Guglielmo è morto nel 19.mo anniversario della sua morte. Una tragica vicenda, il cui mistero ancora non è stato svelato. Guglielmo Mollicone già il 27 novembre dell’anno scorso si era accasciato al suolo privo di conoscenza ed era stato rianimato col defibrillatore. Ma domenica scorsa non ce l’ha fatta. 

Così se n’è andato e ha raggiunto la figlia in silenzio. Il silenzio nel quale Guglielmo Mollicone si era rifugiato già da 3-4 anni anche a causa della morte della moglie. Guglielmo Mollicone è il padre di Serena Mollicone, la studentessa di Arce (Frosinone) uccisa proprio il primo di giugno 2001 e ritrovata in un boschetto a poca distanza dal suo paese, 

Serena, liceale 18enne, era sparita di casa l’1 giugno 2001. Due giorni dopo venne trovata morta ai margini del boschetto di Fontecupa nelle vicinanze di Arce, al chilometro 68 della strada statale 82. Cadavere con mani e  piedi legati con un filo di ferro e la testa infilata in un sacchetto di plastica.

Autopsia: come fu uccisa Serena Mollicone

L’autopsia dimostra che Serena è stata colpita alla testa ed è morta per asfissia dopo ore di agonia. Non vengono trovate tracce di violenza sessuale.

Sul nome dell’assassino, o degli assassini, si sono fatti in questi anni tante ipotesi ma non c’è stata nessuna certezza. E quello di Serena rischia di essere o pare proprio destinato a essere un altro dei tanti casi italiani che resterà irrisolto e avvolto nel mistero.

Pochi giorni prima, per l’esattezza il 28 maggio, mentre Serena è con la sua amica Francesca vede passare un gruppo di ragazzi. Domenico, Davide, Vittorio e Simone che vanno a spasso con Marco Mottola, il figlio del comandante dei carabinieri del paese. Serena parlando con Francesca commenta:

“Questi approfittano dell’amicizia con il figlio del maresciallo per fare quello che vogliono”.

Dove per “quello che vogliono” intende il traffico e lo spaccio di droga in paese e nei dintorni. Traffico che aveva mietuto vari morti tra i giovani della zona. E traffico che secondo alcune voci Serena il giorno in cui è sparita sarebbe andata a denunciare nella caserma dei carabinieri. Da tempo era impegnata contro la diffusione dei paradisi artificiali.

L’ultima che vide viva Serena Mollicone

Come che sia, l’ultima persona che quel giorno vede Serena è Simonetta, che lavora al bar delle Valle. Verso  le 10 la vede scendere con un ragazzo da una Lancia Y, lo stesso modello di automobile che aveva Marco Mottola. Simonetta li vede entrare insieme nel bar per comprare un pacchetto di Marlboro Light, il tipo di sigarette che fumava Serena.

Quando la barista è interrogata dal magistrato viene a sapere che quel ragazzo è il figlio del maresciallo dei carabinieri. Molto stranamente ritratta tutto.

Al funerale della figlia Guglielmo viene prelevato dal maresciallo comandante della locale stazione dei carabinieri, Franco Mottola, direttamente in chiesa. La procedura solleva perplessità. Si scopre che non c’è nessun motivo di urgenza, si tratta solo di una semplice convocazione burocratica. Prelevare qualcuno in quel modo significa screditarlo agli occhi dell’intero paese e quindi dell’opinione pubblica.

Il 6 febbraio 2003 viene accusato del delitto il carrozziere Carmine Belli, che aveva testimoniato di avere visto la ragazza proprio il giorno della sua scomparsa. Ma dopo 17 mesi di carcere Belli viene assolto. Non prima di avere ammesso di essersi inventato la testimonianza su suggerimento “di un’altra persona”, della quale però non fa il nome.

Carmelo Lavorino, consulente di due imputati

Consulente di parte del Belli è Carmelo Lavorino, che lo tira fuori dai guai con un lavoro certosino di analisi di vario tipo. Criminologo, criminalista, profiler ed analista della scena del crimine,  Lavorino è fondatore e direttore del CESCRIN (Centro Studi Investigazione Criminale). Si è interessato di oltre 200 casi d’omicidio:

Fra i quali, i delitti del Mostro di Firenze, di Via Poma, del serial killer Donato Bilancia, di Cogne, del piccolo Tommaso Onofri, di morti equivoche, di cold cases, rapine e violenze sessuali.

La giunta comunale di Fontana Liri  nel 2007 decide di porre una targa commemorativa nel luogo dove è stato trovato il cadavere di Serena. Ma per la mancanza del visto della società Astral che gestisce quel tratto di strada la targa resta coperta da un panno. Per ben cinque anni!  

Finché in paese inizia una raccolta di firme per chiedere alla giunta di farsi rispettare imponendo di farla finita con quella che di fatto è una censura assurda e una mancanza di rispetto per la ragazza uccisa. 

Nell’aprile del 2008 il brigadiere dei carabinieri Santino Tuzzi dichiara ai magistrati che Serena alle 11,30 del giorno in cui è sparita si era recata nella caserma dei carabinieri del paese. L’11 aprile Tuzzi si suicida sparandosi un colpo di pistola in testa.

Perché si è ucciso il brigadiere dei carabinieri?

La versione ufficiale afferma che si è sparato a causa di problemi sentimentali, ma la figlia di Tuzzi dichiara che il padre si è suicidato per avere rivelato che aveva visto Serena nella caserma dei carabinieri. Sopra la caserma abita il maresciallo Mottola con la moglie Anna e il figlio Marco.

Finiscono tutti e tre nel registro degli indagati assieme a Michele Fioretti, ex fidanzato di Serena, e sua madre Rosina Partigianoni. Il GIP Angelo Valerio Lanna ha deciso che il 18 settembre si proceda al prelievo del DNA di tutti e cinque gli indagati.

Le indagini si chiudono con l’accusa di omicidio per cinque indagati: l’ormai ex comandante della Caserma CC di Arce maresciallo Mottola, la moglie e il figlio, indagati per concorso in omicidio e occultamento di cadavere, il luogotenente Quatrale per concorso in omicidio, l’appuntato Francesco Suprano per favoreggiamento.

Perito di parte per Guglielmo Mollicone è il generale dei carabinieri Luciano Garofano, il famoso ex comandante dei RIS dei carabinieri. Perito dei Mottola è Lavorino. Che intervistato da Blitz è molto duro:

Un generale contro un criminologo

“Il mirino investigativo è stato guidato e indirizzato da chi ha creduto alla veridicità delle dichiarazioni del 2008 rilasciate dal brigadiere Santino Tuzi, suicidatosi dopo qualche giorno.

“Il brigadiere nel 2008 aveva dichiarato – in modo incerto, confuso e contraddittorio – che Serena Mollicone il primo giugno del 2001 (quindi sette anni prima), verso le 11:30, si era presentata nella caserma di Arce dove lui era piantone, era salita dalla famiglia Mottola e poi scomparve.

“Queste dichiarazioni non hanno alcun riscontro, sono tardive (perché mai lo ha rivelato ben sette anni dopo?), sono illogiche e contraddittorie, sono state ritrattate dal brigadiere per poi essere confermate dallo stesso. Dichiarazioni terribili che sono state per lui una rete terribile che lo ha stritolato – assieme ad altre vicissitudini personali e familiari – sino a farlo suicidare”.

Guglielmo Mollicone padre onesto e coraggioso

La morte del papà di Serena ha colto di sorpresa Lavorino, che ci ha tenuto a dirci:

“Mi dispiace per la morte di Guglielmo Mollicone, mi dispiace per motivi umani. Per il fatto che se ne sia andato senza conoscere la vera identità dell’assassino della figlia Serena. Per lo strascico di sofferenza che lo ha accompagnato negli anni causa gli errori e i pressappochismi investigativi e giudiziari.

“L’ho sempre rispettato per tutto quello che era ed ha rappresentato: uomo onesto,  padre coraggioso, primo familiare della vittima, persona  sofferente per mille motivi e  grande ricercatore della verità”.

Dopo qualche attimo di evidente commozione, Lavorino agiunge:

“Ora il momento storico, processuale e investigativo è molto delicato per parlare. In questo momento dobbiamo cercare la verità dei fatti, senza  ripiombare nella caccia alle streghe ed all’untore. Senza innamoramenti dei sospetti e delle tesi e delle chiacchiere da villaggio globale, come purtroppo accadde per il carrozziere Carmine Belli. 

“Mi auguro che Guglielmo riposi in pace accanto alla figlia e agli altri suoi cari  e che nessuno strumentalizzi la sua morte per indegni interessi di bottega, di visibilità mass mediatica.

Che  Guglielmo e la sua figura addolorata di padre insultato a sangue dal terribile delitto  non vengano strumentalizzati da pennivendoli, azzeccagarbugli e pseudoesperti”.

Lavorino annuncia battaglia:

“Io cercherò la Verità e la Giustizia, lo feci quando salva col mio staff l’innocente Carmine Belli, lo farò anche nel prossimo processo. Io non difendo i colpevoli e distruggo le tesi investigative fallaci”.

 E conclude:

 “Riposa in pace, caro Guglielmo!”.