“Ilva, un esproprio!”. “No, un regalo ai padroni!”. In mezzo c’è la fabbrica

di Riccardo Galli
Pubblicato il 5 Giugno 2013 - 15:29 OLTRE 6 MESI FA
Sequestro di materiale all'Ilva di Taranto (foto Ansa)

Sequestro di materiale all’Ilva di Taranto (foto Ansa)

TARANTO – Una fabbrica, l’Ilva. Un commissario straordinario, Enrico Bondi. In mezzo processi, sentenze, inquinamento ambientale, tumori e tanto acciaio. Questi sono i fatti che però, a seconda del punto di vista, vengono letti in modi diametralmente opposti. “Non c’è l’esproprio formale, ma l’esproprio sostanziale sì. In Italia è stato introdotto un principio pericoloso, che rischia di compromettere il normale funzionamento della nostra vita economica”, scrive Paolo Bricco sul Sole24Ore, il quotidiano di Confindustria. “Bondi? È come prendere il centravanti della squadra avversaria e farlo arbitro”, racconta Adriano Sofri riportando i commenti degli operai dell’Ilva. Il commissariamento della più grande acciaieria d’Italia, la seconda in Europa, è sinonimo, a seconda dell’interlocutore, di regalo ai padroni o esproprio.

In medias res stat virtus, dicevano i latini. La virtù, e la verità, sono nel mezzo. E anche in questo caso la verità, tutta l verità, non è solo nelle preoccupazioni del mondo industriale, né soltanto nei malumori degli operai. Certo, il commissariamento mette in un angolo la proprietà, togliendo ai padroni il controllo della fabbrica, ma non intacca assolutamente i diritti di proprietà e non è figlio di un capriccio dello Stato ma di decenni di sconsiderata gestione dell’azienda da parte dei padroni. D’altra parte, la scelta di nominare commissario straordinario l’uomo che era l’amministratore delegato scelto proprio dai padroni suscita, legittimamente, qualche perplessità.

Estreme, forzate quindi entrambe le analisi citate, ma tutte portatrici di una parte di verità. Per tentare poi di reperire altre schegge di verità, è forse bene ricordare quello che l’Ilva di Taranto è, prima ancora delle sue vicissitudini giudiziarie che hanno portato alla situazione di oggi. L’Ilva è un’acciaieria enorme, grande come e più di una città, in grado di dare lavoro a migliaia di persone e di essere la reificazione della siderurgia italiana. Una realtà industriale necessaria quindi al Paese e di massima importanza. Ma è, allo stesso tempo, l’Ilva di Taranto, un concentrato di veleni. A prescindere da chi siano i responsabili, che sarà compito della magistratura individuare, è l’acciaieria di Taranto una macchina sputa veleni, foriera di malattie varie per le persone che vi lavorano e vicino vi abitano. Un mostro che ha devastato l’ambiente circostante e che poco o nulla sembra avere fatto negli anni per migliorare i suoi standard ambientali. La colpa dell’Ilva non è infatti di inquinare, tutte le fabbriche inquinano, ma di non aver fatto nulla per inquinare meno e di aver anzi nascosto la tossicità del suo respiro.

Cosa fare di questa città dell’acciaio, come preservare lavoro, siderurgia e salute è stata la questione che sinora ha fatto arrovellare già due governi e che, per il momento, ha trovato soluzione nella figura di un commissario straordinario. Quel commissario Bondi a cui sono stati affidati poteri, per un anno, con il compito di “ripulire” l’Ilva, renderla cioè un impianto sostenibile dal punto di vista ambientale. Investendo in questo, in teoria, anche tutti gli utili dell’azienda e sottraendoli così a proprietari ed azionisti. Gli stessi che però in passato hanno incassato senza investire, va detto. Una doppia sconfitta a sentire industria e operai. Entrambi infatti lamentano l’ingiustizia fatta con questa scelta. Anche, lo scontentare tutti, può far sperare che la scelta fatta sia migliore di quanto si creda.

Scrive Bricco sul Sole24Ore:

“In Italia è stato introdotto un principio pericoloso, che rischia di compromettere il normale funzionamento della nostra vita economica, riducendo ancora di più la sua già non elevata capacità di attrazione dei capitali esteri. Il Governo, per risolvere il rebus del l’Ilva, si è auto-attribuito un potere di intervento radicale sugli assetti proprietari delle società private. Di tutte le società private. Un brutto precedente. Un problema giudiziario-ambientale riguarda una media impresa o la consociata di una multinazionale? Secondo il profilo normativo delineato ieri, l’Esecutivo potrebbe decidere di fare piazza pulita di tutto introducendo un commissario che, di fatto, consentirà alla proprietà soltanto il ‘diritto di informazione’ periodica. (…) Il rischio di un pesante intervento della mano pubblica nei meccanismi del capitalismo italiano, di certo, non contribuisce a rendere più attraente un Paese verso cui gli investitori internazionali mostrano già più di una allergia. Certo, nell’irrazionalità demagogica e nella debolezza endemica che domina la scena politica italiana, in questo caso poteva anche andare peggio. L’impulso verso la nazionalizzazione è stato sedato. Dunque, non si è concretata l’idea che una impresa possa essere gestita, con criteri non imprenditoriali, non si capisce bene da chi o da che cosa. I diritti di proprietà non sono stati toccati. È stato confermato alla guida operativa un manager industriale di lungo corso, un ristrutturatore con un ottimo rapporto con il mondo bancario, come Enrico Bondi”.

E se a “turbare” il mondo industriale è il principio giuridico che passerebbe, a “turbare” gli operai è proprio il nome di Bondi, che tanto invece rassicura l’editorialista del Sole. Scrive Sofri su Repubblica:

“Sai quei film western, dove arriva il castigamatti, e il vecchio che fabbrica le bare si frega le mani. Solo che Bondi fa tutte e due le parti”. “Si sono ripresi tutto, il comando, e i miliardi”.

Non sono affatto contenti gli operai dell’Ilva. (…) Si chiedono come si concili l’amministratore dei Riva col commissario del governo. La tragicommedia Ilva approda così a ‘1 commissario (pagato come il Primo Presidente della Cassazione), 2 sottocommissari, 5 esperti, 2 garanti, 3 custodi tecnici, 1 custode amministratore, 2 presidenti…’ (composizione rettificata in extremis, ndr). I 1.500 ettari dell’Ilva, due volte e mezza la città degli abitanti, sono un inferno dell’archeologia contemporanea. L’antica Troia, nei calcoli più generosi, occupava 35 ettari, la metà dei parchi minerali dell’Ilva. Dentro una pancia di cavallo costruito dai magistrati, per la prima volta dopo decenni, ispettori sanitari, custodi giudiziari, carabinieri ecologici, sono penetrati tra le rovine ciclopiche dell’Ilva e si sono messi a scavare dentro le stratificazioni di materiali tossici e rifiuti non smaltiti. L’Ilva non è l’assediata, ma l’assediante, e soprattutto dentro ci sono i troiani vivi, a migliaia, e, a condizione di starli a sentire, cantano tutta la storia. Questo incontro formidabile non è ancora avvenuto.

Il decreto di sequestro degli 8 miliardi, ieri vanificato, ricapitolava quello che gli sguardi forestieri di custodi e carabinieri hanno scoperto dentro la fabbrica finalmente aperta ad estranei che non fossero autorità e visitatori menati in pulmino e per il naso a fare il giro di ordinanza. Denigrati a un tanto a riga, i custodi giudiziari tecnici, Barbara Valenzano, Claudio Lofrumento e Emanuela Laterza, con i carabinieri del Nucleo ecologico di Lecce, avevano appena ricevuto l’incarico di visitare senza preavviso di giorno e di notte la fabbrica, e di riferire almeno ogni settimana. C’è da sperare che almeno questo resista alla giravolta governativa: ‘Via Gigino, via Gigetto, torna Gigino, torna Gigetto’. Le storie di chi all’Ilva lavora e vive restano ancora non raccolte. Chissà se a Bondi piacciono le storie”.