Caos Ue: l’inglese, la donna, il comunista e l’anti-turco. E una politica che non c’è

Pubblicato il 19 Novembre 2009 - 12:05 OLTRE 6 MESI FA

Massimo D'Alema

Nomine Ue: l’appuntamento è fissato per la serata di giovedì 19 novembre. Per i leader europei, però, verrà prima il piacere (un banchetto a base di funghi e tartufo bianco) e poi il dovere, decidere chi saranno presidente e Alto Commissario per gli Esteri per l’Unione Europea.

Una scelta che, in dirittura d’arrivo, è ancora in alto mare.

Da noi, ad esempio, i fari sono puntati su Massimo D’Alema, candidato al posto di ministro degli Esteri “spinto” vigorosamente da Berlusconi e i suoi. Le possibilità che riesca a prendere la poltrona, però, sono poche. Non tanto per la concorrenza inglese, visto che il Regno Unito proverà fino all’ultimo a mettere Tony Blair alla presidenza e che Miliband, il candidato britannico della prima ora, pare in tutt’altre faccende affaccendato. I laburisti, in Inghilterra sono ai minimi storici, la leadership dello stanco Gordon Brown è vacillante  e Miliband sembra molto più interessato ai giochi di potere di casa sua e a prendere il posto del capo dei laburisti.

Tony Blair

Gli ostacoli più grandi alla nomina di D’Alema vengono soprattutto dai paesi dell’Est. A parte le perplessità polacche dei giorni scorsi e le dichiarazioni di “avvenuta pace” con l’ex presidente del Consiglio (quando avevano litigato?) ad est l’insofferenza rimane. Non solo per D’Alema. La logica, piuttosto è quella di una lobby di Paesi che, entrati per ultimi nella Ue, chiedono una poltrona per poter contare. La carta che spariglia il gioco potrebbe essere l’indicazione di una donna.

Se non dovesse andare bene il “piano dell’est”, c’è sempre il ministro degli esteri spagnolo in carica, Miguel Angel Moratinos, un altro che sembra avere tutte le carte in mano per “soffiare” la poltrona a D’Alema.

Nebbia ancora più fitta sulla presidenza stabile. Tony Blair piace solo agli inglesi e agli americani (che almeno per la presidenza Ue non votano)  e sembra avere probabilità quasi nulle. Un tentativo verrà fatto ma sembra destinata a prevalere la linea franco-tedesca. Soprattutto dopo che Angela Merkel ha detto ufficialmente di avere un patto con Sarkozy: «Non ci ostacoleremo e voteremo lo stesso candidato». Che, a meno di sorprese dell’ultima ora, sarà il primo ministro belga Herman Van Rompuy chiaramente favorito per la corsa.

Herman Van Rompuy

Una candidatura che fa discutere: in ballo, infatti c’è la questione Turchia e il belga è uno dei più fieri oppositori dell’ingresso turco nella Ue. Dall’altra parte, invece, ci sono Inghilterra, Svezia e, ancora una volta, i paesi dell’Est che accoglierebbero Ankara a braccia aperte.

In alternativa a Van Rompuy c’è una rosa di nomi dallo spessore politico tutto da dimostrare: Jan Peter Balkenede e Jean Claude Junker, primi ministri rispettivamente di Paesi Bassi e Lussemburgo, l’ex premier lettone Vaira Vika Freiberga e l’ex capo del governo finlandese Paavo Lipponen. Secondo il New York Times, invece,  il candidato a sorpresa dell’ultimo minuto potrebbe essere il primo ministro Francese Francois Fillon.

L’analisi che il quotidiano statunitense fa dell’Europa ad un passo dalle nomine è impietosa: «L’Europa va verso una leadership di basso profilo» . Dall’altra parte dell’oceano, insomma, prevale l’idea che invece di formare una classe dirigente politicamente solida e credibile, l’Europa sia troppo assorbita dalle beghe interne. Una politica fatta col bilancino e “vuota di contenuti” con leader inconsistenti. È l’identikit di Van Rompuy?