Bersani cerca Presidente “condiviso” per andare in Aula. Ma renziani spingono su voto

di Daniela Lauria
Pubblicato il 3 Aprile 2013 - 09:18| Aggiornato il 6 Dicembre 2022 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Il leader Pd, Pier Luigi Bersani, rompe il silenzio dopo la pausa di riflessione pasquale. Tornato a Roma ha rilanciato la sua sfida a Berlusconi: ha aperto ad una soluzione condivisa sul nuovo nome per il Quirinale ma ha sbarrato la porta sulle ipotesi di governissimi o ritorno alle urne. Bersani deve però fare i conti con chi all’interno del suo partito la pensa diversamente: la fronda dei renziani ha già cominciato a scalciare e a spingere per nuove elezioni. A svelare tutti i retroscena è Maria Teresa Meli sul Corriere della Sera.

“La nostra proposta di governo è l’unica alternativa al voto”, ha detto Bersani convinto che un voto anticipato sarebbe una “sciagura”. E il Cavaliere farebbe bene a non frapporre ostacoli. Altrimenti? C’è sempre la carta Prodi pronta nel cassetto, che singnificherebbe la distruzione politica di Berlusconi.

Bersani ci spera ancora, racconta il Corriere, e non è disposto a rinunciare al suo piano senza prima essere andato alla prova del Parlamento. “In tutti i Paesi normali – spiega il segretario – il leader del partito che ha più voti e più parlamentari governa. Non si capisce perché qui dovrebbe essere diverso e soprattutto non si comprende perché i voti del Pd dovrebbero contare meno degli altri”.

Nemmeno lui ha digerito l’iniziativa dei dieci saggi di Napolitano ma non si azzarderebbe mai ad attaccare pubblicamente il Capo dello Stato. Scrive Maria Teresa Meli che ai suoi Bersani avrebbe confessato:

Io non ho indicato nessun nome al Quirinale, i saggi che hanno come riferimento la nostra area sono autonomi da noi e noi da loro. Comunque queste due commissioni non hanno certo il compito di fare un governo, scriverne il programma e decidere chi lo deve guidare. Quello che possono fare, e che sarebbe utile facessero, è un progetto di riforma elettorale condiviso, così potremmo liberarci del Porcellum”.

Peccato che i due saggi politici di Pd e Pdl addetti alle riforme politico-istituzionali, Luciano Violante e Gaetano Quagliariello, ci abbiano già provato a indicare il loro piano di modifica della Costituzione, della legge elettorale e dei regolamenti parlamentari. Lo hanno fatto lo scorso anno, per la precisione, nella prima fase del governo Monti. Violante e Quagliariello facevano parte dei cinque sherpa che avrebbero dovuto trovare un’intesa tra i principali partiti ma il loro schema di una legge elettorale su un modello misto ispanico-tedesco, fu affossato da un nuovo accordo tra Pd, Pdl e udc, targato Maurizio Migliavacca, Denis Verdini e Lorenzo Cesa. Salvo poi essere successivamente bloccato dal Pdl in sede di commissione parlamentare. La domanda ora è: ce la faranno in appena 10 giorni a trovare una soluzione che superi lo sciagurato porcellum?

Quel che è certo è che Bersani è determinato, una volta eletto il nuovo Capo dello Stato, a riprovarci. Altrimenti, dicono all’interno del “tortello magico“, il cerchio di fedelissimi del segretario, c’è solo il voto perché con il Pdl proprio non si può governare. E se si andasse al voto in estate non c’è nemmeno il tempo per indicare un nuovo candidato premier. Tradotto: Renzi resterebbe così definitivamente bruciato.

Ed ecco svelato il perché i renziani premono per tornare alle urne il prima possibile, rischiando però di fare il gioco di Belusconi. Anche lui, per ragioni diverse si intende, è fortemente motivato a tornare al voto entro giugno. Lo spiega bene Maria Teresa Meli:

Il sindaco di Firenze la pensa diversamente e ai suoi in gran segreto ha confidato che per lui prima si vota e meglio è. A ottobre, persino a giugno. Tutto purché non parta il treno di una legislatura di lunga durata. Il che sarebbe pur sempre possibile. Infatti, una volta instradato sui binari un nuovo governo, del presidente o di Bersani che sia, sarebbe difficile fermarlo: se arrivasse all’anno prossimo, gli sarebbe facilissimo giungere a quello dopo ancora. Sì, perché il primo luglio del 2014 l’Italia assumerà la presidenza del semestre europeo, il che vuol dire che c’è bisogno di un governo nella pienezza dei suoi poteri. Ciò significa che prima del 2015 non si va a votare. Ma è un orizzonte temporale troppo lontano per Renzi: rischierebbe di non prendere l’ultimo treno a sua disposizione.