ROMA – Un unico congedo familiare esteso da cinque a sei mesi, prevedendo che i papà ne utilizzino il 20%, quindi un mese. E’ l’ipotesi allo studio del governo annunciata dalla sottosegretaria al Lavoro e al Welfare, Francesca Puglisi. Già dalla prossima settimana si insedierà al dicastero un gruppo di esperti per individuare tempi, modalità e soprattutto costi della riforma.
Attualmente sono previsti 5 mesi obbligatori per le mamme mentre da qualche anno è stato introdotto il congedo obbligatorio per i papà che nel 2020, con la Legge di Bilancio, è salito da 5 a 7 giorni, più un giorno facoltativo che però può essere preso solo in sostituzione della madre. Le nuove norme, se si troveranno le risorse necessarie, dato che il costo dovrebbe essere significativo, potrebbero essere inserite nella prossima legge di Bilancio.
“Se sono sempre le donne a dover conciliare lavoro e cura non cambierà mai nulla – ha spiegato Puglisi – E invece bisogna passare dalle politiche di conciliazione a quelle di condivisione. Lo fa già la Svezia, ci sono regole per un congedo unico utilizzato però per il 20% dal padre”.
“Le donne – sottolinea Puglisi – fanno carriera più lentamente perché sono spiazzate dal peso delle cure familiari. Per scardinare questo paradigma e fare sì che il lavoro sia condiviso dobbiamo pensare a politiche di condivisione. L’ipotesi di un congedo di sei mesi è ancora in stato embrionale, siamo all’inizio di una riflessione ma penso che si possano usare i fondi europei che sono a disposizione per aumentare il lavoro delle donne per fare una riforma strutturale di questo tipo”.
In Italia c’è un divario di occupazione tra uomini e donne che sfiora i 20 punti, al top in Ue, e queste politiche potrebbero essere utili per spingere le donne sul mercato del lavoro. “C’è una nuova crescita dell’abbandono del lavoro dopo la nascita del primo figlio – dice Puglisi – dobbiamo frenare questo andamento. Lavorare è importante per molti motivi, anche per non essere poi pensionate povere”.
Chi non lavora è più debole e può essere spinta a non denunciare anche in caso di violenze familiari “perché non c’é autonomia lavorativa. Mantenere il lavoro – conclude – è fondamentale”.
Fonte: Ansa