Jens Stoltenberg: “La Nato è pronta ad aiutare la Libia”

Pubblicato il 6 Dicembre 2015 - 08:20 OLTRE 6 MESI FA
Jens Stoltenberg (foto Ansa)

Jens Stoltenberg (foto Ansa)

ROMA – La Nato è pronta a intervenire in Libia, se si formerà un governo di unità nazionale e se chiederà assistenza per ricostruire le proprie capacità di difesa. Lo spiega, intervistato da Repubblica, il segretario generale dell’Alleanza, Jens Stoltenberg. Il segretario generale della Nato illustra anche la nuova strategia “flessibile” nella lotta globale al terrorismo, dove non conta tanto mostrare la bandiera quanto aiutare le forze locali. Perché, spiega, in questa guerra “la maggior parte delle vittime sono musulmane e sono musulmani anche la maggioranza di quelli che si battono contro l’Is. Alla fin fine noi non possiamo combattere al posto loro”.

L’Occidente affronta una guerra in Siria e a una guerra contro il terrorismo in Europa. Perché la Nato non è coinvolta?
“Tutti gli alleati Nato partecipano alla coalizione contro l’Is e la Nato ha un ruolo decisivo nella lotta al terrorismo. In Afghanistan stiamo conducendo la più grande operazione nella storia dell’Alleanza e il motivo che ci ha portato in quel paese è la lotta al terrorismo. Oltre a questo, siamo impegnati a rafforzare le capacità di difesa autonoma dei paesi della regione. Facciamo assistenza e addestramento militare, li aiutiamo con l’intelligence e con le forza speciali. La Nato, ovviamente, deve essere pronta a schierare forze armate. Ma è anche estremamente importante riuscire a esportare stabilità senza dover mandare le nostre truppe”.

Ma in tutte queste operazioni la bandiera della Nato non si vede. Dopo gli attentati di Parigi il presidente Hollande ha fatto appello alla solidarietà dell’Ue, non dell’Alleanza. Come mai?
“L’importante è che tutti gli alleati Nato siano coinvolti nella lotta al terrorismo in modi diversi. In Afghanistan l’operazione militare è targata Nato. In Giordania, Tunisia e Irak la Nato svolge un’azione di assistenza e addestramento. In Turchia la Nato è presente con i Patriot. Quello che conta è che l’Alleanza e i suoi membri partecipino alla lotta contro l’Is secondo varie modalità, e che la coalizione sia guidata dal nostro alleato più potente, gli Usa. Non è un problema se la coalizione non è targata Nato, rientra nella flessibilità che dimostriamo nella lotta all’Is”.

Eppure adesso le minacce alla sicurezza sono ben più gravi rispetto al 2011, quando la Nato intervenne in Libia senza problemi. Oggi che cosa è cambiato?
“Ma la Nato è impegnata. Con assistenza e addestramento in Giordania, Iraq e Tunisia. In Turchia siamo in procinto di schierare maggiori risorse. Continuiamo ad essere presenti in Afghanistan. E in Libia ci teniamo pronti ad assistere un governo nazionale, se ce ne farà richiesta. Non stiamo discutendo di una nuova grande operazione militare in Libia, e del resto non mi sentirei di raccomandarlo. Ma se si formerà un governo di unità nazionale, siamo pronti ad aiutarli fornendo assistenza. Tutti questi sforzi hanno il medesimo obiettivo, ma secondo modalità diverse, perché si affrontano problematiche diverse”.

Quanto alla Turchia, ho l’impressione che le dichiarazioni di solidarietà ad Ankara dopo l’incidente siano state molto caute. La Turchia è un partner problematico, come può la Nato aiutarla?
“La Turchia vive una situazione difficilissima essendo confinante con l’Irak e la Siria. È l’alleato più colpito dalla crisi in Medio oriente. Ha accolto più di due milioni di profughi. Ogni nazione ha il diritto di difendere e proteggere la propria integrità territoriale, incluso lo spazio aereo. La Nato li aita a rafforzare le proprie difese aeree, (con la partecipazione di Spagna, Germania, Regno Unito e altri alleati). Siamo militarmente presenti in Turchia e lungo il confine siriano ben da prima che l’aereo russo fosse abbattuto. Entro Natale decideremo su un ulteriore pacchetto di misure di assistenza. La Nato continuerà ad essere presente nel Paese”.

Crede che abbattere l’aereo russo sia stata una mossa giusta? Non c’è un rischio di escalation?
“L’importante è come arrivare a una de-escalation e a creare meccanismi che evitino incidenti del genere in futuro. Abbiamo discusso con i ministri degli esteri questa settimana per migliorare le linee di comunicazione militari, le procedure, i sistemi di riduzione dei rischi di conflitto, in modo da evitare il verificarsi di incidenti simili in Turchia, ma ovviamente anche in altre aree. Assistiamo a un significativo potenziamento dell’apparato militare da parte dei russi, dall’estremo Nord al Mediterraneo. L’intento è evitare che gli incidenti, in caso di verifichino, sfuggano al controllo” (…).