Senza uno sparo: perchè il comunismo in Europa sparì senza neanche un cecchino?

di Lucio Fero
Pubblicato il 11 Novembre 2009 - 14:22| Aggiornato il 21 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Il muro di Berlino negli anni 60

Ho atteso che qualcuno, sui giornali o in tv, fornisse un frammento, un indizio di risposta. Niente, se qualcosa e qualcuno non mi è sfuggito alla lettura e all’ascolto, nessuno si è posto nemmeno la domanda. Io la risposta non la conosco, ma la domanda me la faccio: perchè senza uno sparo? Non è così che crollano gli imperi e le dittature, non è mai stato così nella storia. Eppure è così che è venuto giù il sistema sovietico e il muro di Berlino che lo rappresentava: senza uno sparo. Perchè era marcio? Certo, era marcito dentro ma, se si vuole esser conseguenti nella metafora, un frutto marcio si spiaccica con rumore e schizzi, non plana dolcemente al suolo.

C’erano milioni di soldati, migliaia di armi nucleari, decine di migliaia di carri armati, centinaia di migliaia di agenti di polizia politica. Molti di questi del regime sovietico vivevano e con esso si identificavano. Eppure neanche un cecchino, neanche un disperato e crudele ultimo colpo esploso da una finestra. Il sistema sovietico aveva perso la “terza guerra mondiale”. Era evidente a tutti, anche nel sistema sovietico. Ma nazisti e fascisti, anche quando era evidente che avevano perso la loro guerra mondiale, produssero lo spasmo finale e i loro cecchini sparavano ancora quando tutto era per loro perduto.

Neanche uno sparo e ai massimi livelli della gerarchia sovietica si individua il dove, il come e il chi di questa decisione, di questa scelta. Dipese da Gorbaciov, dal suo no all’uso della forza. L’Europa non gliene sarà mai sufficientemente grata, la Merkel lo sa e per questo ha voluto il pensionato Gorbaciov al suo fianco quando della caduta del Muro è stata la festa dopo venti anni. Fu la forza di Gorbaciov a fermare le armi sovietiche. Ma è lo stesso Gorbaciov che appena due anni dopo non resiste a un mezzo colpo di Stato e ne viene di fatto travolto. La decisione di non sparare fu quindi di Gorbaciov, ma perchè la sterminata armata della repressione sovietica obbedì e acconsentì senza eccezioni? Eppure erano gli stessi uomini e gli stessi apparati che avevano invaso l’Ungheria nel 1956, la Cecoslovacchia nel 1968, l’Afghanistan negli anni Ottanta. Perchè nessuno, per rabbia, disperazione, vendetta toccò un grilletto come sempre fa qualcuno quando vede crollare il suo regime, la sua dittatura?

Ho un sospetto sul perchè. Lo butto giù, senza pretesa di analisi storiografica, guidato solo da alcune storiche evidenze e coincidenze. Dunque, capitalismo e comunismo si sono confrontati e combattuti per settanta anni circa. In Europa si sono combattuti e anche guardati negli occhi per sette decenni. Il capitalismo ha vinto due volte. La prima perchè ha eliminato l’avversario. La seconda perchè in settanta anni, quesi settanta anni, ha migliorato se stesso. Settanta anni durante i quali il capitalismo progressivamente sposa e convive con la democrazia. Settanta anni durante i quali il comunismo va a nozze monogamiche con la dittatura.

Durante, e anche a causa del lungo confronto con il comunismo, il capitalismo si dota di quel che in origine non aveva: i diritti politici uguali per ogni cittadino, il suffragio universale, l’idea e la pratica di una responsabilità collettiva per quando l’individuo studia, invecchia, si ammala, resta senza lavoro. Il Welfare, i sindacati, la scuola e la sanità pubblica, le pensioni: tutto questo e altro ancora il capitalismo non lo aveva quando cominciò la sua battaglia contro il comunismo. Battaglia che vince anche perchè di tutto questo si dota e si arma, di libertà sociali oltre che del concetto stesso di libertà.

Simmetricamente il comunismo dalla libertà divorzia e qui comincia ineluttabilmente a perdere. Però, in quei settanta anni, qualcosa “sgocciola” anche di là. Il sistema sovietico è oppressivo e violento ma il confronto ravvicinato con il capitalismo che si fa civiltà progressivamente lo obbliga ad una sorta di “ipocrisia civile”. Sì, certo si possono incarcerare e far sparire i dissidenti. Sì, si può mandare a morire nei gulag. Ma l’esercito che spara sulla gente, questo non si può. E’ una “ipocrisia civile” che il sistema sovietico, almeno in Europa, mutua dai comportamenti dell’Occidente. Anche i governi occidentali organizzano e politicamente benedicono i golpe, ma nessuno vedrà mai i marines sparare a Santiago del Cile. Non si può, nessun governo può farlo. Questa negazione diventa un tratto della civiltà occidentale. E il sistema sovietico ne viene in qualche modo contagiato: quel che si è fatto nel 1956 e nel 1968 non può più essere fatto nel 1989. Non si spara sulla gente per strada diviene una “regola” non scritta anche della dittatura sovietica.

Regola che scatta, al vertice del regime ma anche e soprattutto nella testa di centinaia di migliaia di uomini in armi. Alcuni di loro vivono in quei giorni del 1989 una sorta di “otto settembre” sovietico. Non hanno ordini chiari, vedono che tutto si sfalda ma devono spesso decidere da soli. E tutti decidono di non sparare. Decidono così perchè è passato anche nella loro cultura e coscienza che sparare così non si può. Tanto più che nell’ideologia di riferimento del sistema sovietico, nelle tavole originarie della “legge”, la gente contro cui sparare è “il popolo”. Quel “popolo” che è stato messo in ceppi ma sempre il detentore teorico della sovranità. Preoccupazioni di questo genere non avevano le dittature e gli armati dei nazismi e fascismi per cui il popolo era tale solo se si faceva razza eletta o dominante. Nazismi e fascismi non avevano convissuto per settanta anni con le democrazie, erano nati contro e per sradicare le democrazie. Il sistema sovietico invece, dal Politburo di Mosca, fino al “Vopo” di Berlino aveva fatto in tempo a contrarre in qualche modo contagio. Un contagio che richiamava il virus originario della natura non “macellaia” del socialismo e del comunismo. Almeno in Europa, là dove i due sistemi si erano guardati a lungo negli occhi. La contro prova? I cinesi che a Tien An Men sparano.

Contagio, modificazioni reciproche. L’una che induce il capitalismo alla democrazia, ai diritti sociali e alla vittoria. L’altra che impedisce al sistema sovietico di scegliere il macello in punto di morte. Sarà un caso, ma da quando il condizionamento reciproco è cessato per la sparizione del comunismo, da allora il capitalismo ha smesso di “migliorarsi”. Dopo gli anni Ottanta nasce e cresce il “turbo capitalismo”, quello della ricchezza finanziaria e non materiale, quello delle “bolle” speculative, quello ingovernabile dai governi, quello che riallarga ovunque a dismisura le ineguaglianze di reddito, quello che fa il funerale non solo alle ideologie ma anche alle idealità.

E, in una sorta di contrappasso, questo “turbo capitalismo” ha oggi un nemico quantitativamente assai meno molesto di quanto non fu il sistema sovietico ma qualitativamente assai peggiore. L’antagonista che fu voleva fare il paradiso in terra, qui su questa terra, e fece di metà di questo pianeta un inferno. L’antagonista che c’è pensa che il suo paradiso sia altrove, fuori da questo mondo e che lo si guadagni proprio trasformando il mondo che c’è in un inferno da purificare con il fuoco. Quello se n’è andato senza sparare un colpo perchè non fosse scritto nella storia degli uomini che la sua ultima pagina era intrisa di sangue. Questo vuole che il sangue degli uomini sia l’inchiostro per scrivere le pagine del suo libro. Non c’è più contagio reciproco e produzione di reciproci anticorpi, perciò si è passati da neanche uno sparo a dieci, cento, mille kamikaze.