Botta e risposta tra Usa e Siria. Ritirati rispettivi ambasciatori

Pubblicato il 25 Ottobre 2011 - 19:15 OLTRE 6 MESI FA

Il presidente siriano Bashar al Assad

WASHINGTON, STATI UNITI – Duro botta e risposta tra Stati Uniti e Siria: il dipartimento di Stato Usa fa tornare in patria il suo ambasciatore a Damasco, Robert Ford, che avrebbe ricevuto ”minacce credibili”. A stretto giro, il governo siriano reagisce richiamando il suo ambasciatore a Washington, Imad Mustafa, ”per consultazioni”.

Ma non e’ tutto. Contestualmente, gli Stati Uniti hanno anche esplicitamente intimato al regime di Bashar al Assad di porre ”immediatamente” fine ”alla menzognera campagna” condotta contro il diplomatico americano dalla stampa filo-governativa, l’unica ammessa in Siria, e certamente ispirata dal governo. Con l’intento di provare un ravvicinamento con la Siria, gli Usa avevano inviato di nuovo un ambasciatore a Damasco solo nel gennaio scorso, dopo cinque anni di assenza.

In pochi mesi, dopo l’inizio delle manifestazioni per la democrazia, l’ambasciatore Ford ha pero’ piu’ volte e in vari modi irritato le alte sfere del potere siriano. In particolare prendendo contatti con gli oppositori al regime. Ma anche recandosi di persona nelle citta’ dove il pugno di ferro delle forze di sicurezza si e’ abbattuto con maggiore forza sulle massicce manifestazioni popolari per la democrazia, che da marzo scuotono il Paese dalle fondamenta.
Iniziative per le quali la sicurezza di Ford e’ del resto gia’ stata duramente messa alla prova piu’ di una volta. Ad esempio l’11 luglio, quando al grido
”Dio, Siria e Bashar”, una folla di sostenitori del presidente Assad ha dato l’assalto alle ambasciate di Stati Uniti e Francia a Damasco, e anche alla vicina residenza dello stesso ambasciatore Ford. I marines, e gli agenti della sicurezza francesi, aiutati da un tardivo intervento delle forze di sicurezza siriane, sono infine riusciti a respingere i dimostranti, alcuni dei quali sono comunque riusciti a entrare nel compound americano e a lasciare sulle alte mura di cinta graffiti in cui l’ambasciatore veniva definito ”cane”.

Poco piu’ di un mese dopo, il 29 settembre, Ford e il convoglio di auto della sua scorta sono stati aggrediti a Damasco con lanci di pietre e pomodori da un gruppo di lealisti. Poco prima, il diplomatico era stato in visita a Hassan Abdel Azim, un anziano dissidente a capo di una coalizione di partiti illegali e che ha ripetutamente chiesto la fine della sanguinosa repressione del regime contro i manifestanti anti-governativi. Repressione che, secondo le Nazioni Unite, ha finora causato la morte di oltre 3.000 persone, tra cui almeno 187 bambini.

Nondimeno, proprio l’Onu appare paralizzato sulla Siria. Ancora il 5 ottobre, il Consiglio di sicurezza si e’ spaccato quando Cina e Russia hanno bloccato una risoluzione presentata dai Paesi europei, e ampiamente sostenuta dagli Usa, in cui si chiedeva al regime degli Assad, al potere da oltre 40 anni, di porre fine alle violenze contro la popolazione civile. Gli Stati Uniti pero’ non intendono rassegnarsi. La comunita’ internazionale, ha detto chiaramente il segretario alla difesa Leon Panetta, ”continuera’ a premere” fino alla caduta del regime di Bashar al Assad, ”che ha perso ogni legittimita”’. La schermaglia a ‘colpi di ambasciatori’ e’ quindi solo una tappa di un percorso, che allo stato dei fatti appare ancora del tutto imprevedibile.