Antimafia, scontro Pd-Pdl; Pensioni; nuovo iPad Air: rassegna stampa e prime pagine

la stampaROMA – Divisi anche sull’Antimafia. Il Corriere della Sera: “Rosy Bindi (Pd) è stata eletta presidente dell’Antimafia, ma il mancato accordo su un nome condiviso ha spinto il Pdl a non partecipare al voto e a chiederne le dimissioni.”

Con lo sguardo all’indietro. L’editoriale a firma di Piero Ostellino:

Un Paese nel quale il pensiero, le opinioni, le parole devono ubbidire a una certa Ortodossia pubblica, imposta per legge, non è un Paese libero. L’Italia — con gli innumerevoli divieti che, opponendo un ostacolo alla libera manifestazione del pensiero, prefigurano, di converso, il reato d’opinione — lo sta diventando. L’ignoranza dei fondamenti stessi della democrazia liberale ha prodotto una «bolla culturale», generatrice, a sua volta, di una «inflazione legislativa», che sta progressivamente portando il Paese alla fine delle sue (già fragili) libertà. L’eccessivo numero di leggi che, spesso, si sovrappongono e/o si contraddicono l’un l’altra, è l’effetto di due cause concomitanti. Prima: della crescita esponenziale, per legge ordinaria, di una tendenza allo statalismo già presente nella Carta fondativa della Repubblica. Se si riflette sul fatto che nella stesura della Prima parte della Costituzione — quella sui diritti — ebbe un grande ruolo Palmiro Togliatti, l’uomo che avrebbe voluto fare dell’Italia una democrazia popolare sul modello dell’Urss, si spiegano le ragioni del disastro verso il quale la Repubblica, nata dalla Resistenza al fascismo, si sta avviando. Secondo: la dilatazione del potere discrezionale della magistratura, diventata, con le sue sentenze in nome del popolo, il nuovo «sovrano assoluto»; che ha spogliato, di fatto, il Parlamento del- l’esercizio della sovranità popolare e vanifica il potere del governo di gestire il Paese; unifica in sé tutti e tre i poteri dello Stato (legislativo, esecutivo, giudiziario) che dovrebbero restare separati e divisi secondo il moderno costituzionalismo. Si vuole creare — attraverso la via del costruttivismo politico e della palingenesi giudiziaria — un uomo artificiale, «l’uomo democratico». Si sta producendo un cittadino — che si crede iper-democratico, ma è solo suddito — fra gli entusiasmi della borghesia salottiera; l’indifferentismo del proletariato, che sogna la rivoluzione socialista; la pigrizia dei media, che girano intorno ai problemi come gattini ciechi; i silenzi del centrodestra, concentrato sull’ombelico del proprio padrepadrone; la nullità del centrosinistra che si aggrappa a chiunque — persino al Papa gesuita! — si mostri ostile alla modernità, al capitalismo, al mercato, alla ricchezza, e aperto al pauperismo. Siamo inclini ad attribuire populisticamente tutte le colpe alla politica o, meglio, ai cattivi politici, che pure non ne sono esenti, e non ci accorgiamo che ci stiamo scavando noi stessi la fossa sotto i piedi, non solo votando certi personaggi, ma ispirandone culturalmente e politicamente la cattiva politica. La «democrazia dei partiti» — col suo carico di progressismo immaginario, di costruttivismo, di vocazione autoritaria e totalitaria, di illiberalismo — non è peggiore del Paese.

Bindi eletta all’Antimafia Il Pdl diserterà i lavori. L’articolo a firma di Dino Martirano:

La democratica Rosy Bindi è la nuova presidente dell’Antimafia (eletta con 25 voti su 50 componenti) ma la commissione parlamentare d’inchiesta è già piombata nel caos. Davanti alla prova di forza voluta dal Pd, infatti, il Pdl si è irrigidito non poco disertando la seduta in cui si votava per il presidente e annunciando poi un «mini Aventino» per le prossime settimane.

La presidenza dell’Antimafia , dunque, rischia di affossare ancora di più le larghe intese. «Se la Bindi non si dimette non parteciperemo ai lavori», hanno minacciato i capigruppo Renato Schifani e Renato Brunetta. «In questo modo la commissione è affossata e delegittimata», ha aggiunto Fabrizio Cicchitto. Però tra i commissari antimafia del Pdl c’è anche Rosanna Scopelliti che è di un’altra opinione: «Io parteciperò ai lavori perché per me è un onore far parte della Commissione. La mia storia e la memoria di mio padre, magistrato assassinato per mano mafiosa, non mi permettono di disertare le sedute. Non posso fare a meno di essere Rosanna Scopelliti. Spero che anche nel mio gruppo ci sia un ripensamento perché è importante che la Commissione inizi a lavorare». La deputata del Pdl dice tutto questo dopo essersi intrattenuta in Transatlantico con la Bindi («Le ho fatto anche i complimenti») che ha già iniziato un faticoso lavoro di ricucitura. E così dagli Usa, dove è in visita ufficiale, il presidente del Senato Pietro Grasso lancia il suo appello: «Non si poteva più aspettare oltre, si doveva far partire i lavori e spero che il Pdl possa ritornare sulla decisione di non parteciparvi».

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Il premier contrariato per la mossa del Pd Alfano: intese violate. L’articolo a firma di Francesco Verderami:

«Il Pd ha esagerato», gli ha detto Alfano. E Letta non ha potuto dargli torto, mostrandosi contrariato mentre ascoltava le critiche del vice premier sull’«ingovernabilità» del suo Pd, che sulla presidenza dell’Antimafia «non è stato ai patti». Certo, sulle intese di maggioranza nessun partito può permettersi di scagliare la prima pietra, ma non c’è dubbio che questo patto sia stato violato, se è vero che Epifani — giovedì scorso — aveva affrontato la questione con il segretario del Pdl, garantendo l’intesa su una soluzione di compromesso che avrebbe dovuto portare alla guida della commissione un esponente di Scelta civica. Ma quando l’altra sera la Bindi — sbattendo i pugni — ha reclamato il seggio e ha chiesto a Epifani di stare ai patti concordati ai tempi del battesimo delle larghe intese, il compromesso prima ha vacillato poi è saltato.

Che non si tratti (solo) di un problema di poltrone è evidente al presidente del Consiglio, rammaricato di non esser riuscito a evitare questo ulteriore elemento di fibrillazione, che in un solo colpo lo indebolisce nel suo partito, indebolisce Alfano e l’area dialogante del Pdl, e finisce per alimentare l’instabilità a tutto vantaggio di chi — come Renzi — confida ancora di sfruttare la finestra elettorale di marzo. Magari con il contributo del neopicconatore Monti, apprezzato ieri pubblicamente dal sindaco di Firenze per aver «impedito a Berlusconi di conquistare il Quirinale». Una frase che non è sfuggita a Palazzo Chigi…

Le “panzane” di Napolitano. Il Fatto Quotidiano: “Il Fatto riporta le accuse del falchi del Pdl al presidente sul patto tradito di graziare Berlusconi “motu proprio”. Il capo dello Stato perde la testa e insulta il nostro giornale per smentirli. Peccato che non abbia aperto bocca quando altri scrissero le stesse cose o quando B. lo chiamò “i naffidab ile” e minacciò di “rivelare tutte le sue promesse”.

Un patto con Silvio? Per il Colle non c’è “panzana assurda”. L’articolo a firma di Fabrizio d’Esposito:

La resa dei conti sulla decadenza di B. si avvicina e Giorgio Napolitano teme sempre di più il faccia a faccia finale con il Cavaliere, snodo cruciale della legislatura e del-l’implosione imminente del Pdl. Oggetto: il “patto tradito” di cui più volte ha parlato in questi giorni Daniela Santanchè, guida politico-mediatica dei falchi berlusconiani. Ed è per questo che ieri il Quirinale ha stroncato con una nota durissima un articolo del Fatto in cui si dava conto del contenuto di questo “patto tradito” secondo l’ala guerrigliera del Pdl: una grazia motu proprio del Colle per la condanna definitiva del Cavaliere sui diritti tv Mediaset. Indiscrezione, peraltro, riportata anche da Repubblica senza evidenza, però, nel titolo o nei sommari.

Di qui l’anatema del Colle contro il nostro quotidiano, affinché la Pitonessa Santanchè e gli altri falchi intendano: “Solo il Fatto Quotidiano crede alle ridicole panzane come quella del patto tradito dal presidente Napolitano”. Oggi in un’intervista, la stessa Santanchè, che al Colle viene appellata con fastidio come “la Signora”, replica che la vera panzana è la pacificazione promessa a suo tempo a Berlusconi . Perché, andando alla radice del caos attuale da larghe intese, il problema è questo. Nella primavera scorsa il Cavaliere fu uno dei protagonisti dell’incredibile evoluzione politica dopo gli sfaceli bersaniani: il patto per la rielezione di Napolitano al Quirinale, poi quello per Enrico Letta a Palazzo Chigi con l’appendice, allo stesso tempo, di sbarrare la strada a Renzi premier. Lo rivela lo stesso sindaco di Firenze nel suo ultimo libro, raccontando una telefonata di B.: “Non c’è un veto nostro, caro sindaco. Semplicemente non vogliamo te, preferiamo Amato e Letta”. Oggi i soliti falchi aggiungono altri velenosi dettagli: “Fu Napolitano a chiedere a B. di fermare Renzi”. Vero o falso che sia, è in corso una guerra totale tra il Colle e il Cavaliere versione falco per il “rispetto dei patti di primavera” .

Pd-Pdl, scontro sull’Antimafia. La Stampa: “Bindi eletta presidente, il centrodestra lascia l’aula: strappo inaccettabile.”

Pensioni, stop da 4,1 miliardi. L’articolo a firma di Roberto Giovannini:

È sempre polemica sulla Legge di Stabilità che si affaccia in Parlamento. Molti si chiedono se i 7 miliardi chiesti e ottenuti dal ministero della Difesa per l’ammodernamento della Marina siano davvero una priorità. Altri fanno notare la sproporzione quasi beffarda tra l’effetto del contributo chiesto alle pensioni d’oro (solo 63 milioni in 3 anni) rispetto alla deindicizzazione degli assegni pensionistici, che vale 4,1 miliardi nel triennio.

E in particolare uno studio della Confesercenti mostra l’effetto davvero drammatico sui redditi disponibili dei pensionati delle novità decise dal governo. Considerando anche l’effetto dell’introduzione della Tasi e del mancato sgravio Irpef, un pensionato che prende una pensione netta di 1.120 euro al mese perderà quasi 300 euro. Si sale a 389 per un assegno da 2.384 euro.

Nonostante le critiche, il premier Enrico Letta difende la manovra, con cui l’Italia può rivendicare di aver fatto i «compiti a casa» richiesti dai partner nord-europei. E dunque potrà chiedere in Europa politiche economiche all’insegna della «solidarietà», nelle quali oltre ai «sacrifici» ci sia anche una «prospettiva». Dello stesso avviso è anche il vicepremier Angelino Alfano, che però di fronte alle ricorrenti critiche che arrivano dal suo stesso partito afferma che la Legge di Stabilità non è il quinto Vangelo», e quindi «potrà essere modificata». Nel mirino del Pdl c’è la Tari, che rischia di dare brutte sorprese e di costare più dell’Imu prima casa ai contribuenti. Sul versante opposto il Pd, che invece chiede modifiche su indicizzazione delle pensioni e su esodati (con Cesare Damiano e Cecilia Carmassi) nonché sulla difesa del suolo (Massimo Caleo e Stefano Vaccari). Ci sono poi i «montiani» (nelle prossime ore ci dovrebbe essere un incontro tra Letta e il Professore), che continuano a fare rilievi sulla legge: «per sostenerla in modo incondizionato come piacerebbe ad alcuni – ironizza Enrico Zanetti, riferendosi a Casini e Mauro – bisogna non leggerla».

Nel supermartedì dei tablet Apple lancia l’iPad leggero. L’articolo a firma di Bruno Ruffilli:

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Quattro anni fa i tablet non esistevano, a parte i timidi tentativi di Microsoft, oggi hanno superato i computer portatili (dati Idc: 227 milioni contro 181 milioni nel 2013). Eppure la supremazia di Cupertino vacilla: per la prima volta l’iPad è sceso sotto il 50 per cento del totale, incalzato da Google e Amazon, cui si aggiunge ora Nokia. Tutti offrono apparecchi che costano meno, Apple guarda più in là: «Perfezioniamo i nostri prodotti finché non diventano strumenti che cambiano la vita di chi li usa».

E ieri il Ceo Tim Cook ha svelato la sua strategia. Ancora soltanto due tablet, ma più potenti, più sottili, più leggeri. L’iPad Air ha un display da 9,7 pollici, come il modello precedente, e riprende il design dell’iPad mini, con la cornice più sottile sui lati lunghi. Il peso cala (450 grammi), diminuisce lo spessore (7,5 mm), restano invariati schermo e durata della batteria. Per l’iPad mini arriva finalmente il display «Retina», con una definizione che fa sembrare i testi stampati su carta e non riprodotti su uno schermo. Prezzi da fascia alta, come sempre: da 479 euro per l’iPad Air, da 389 per il mini (a 289 euro c’è il modello di prima generazione che si batte con Android e Amazon, che alla stessa cifra offrono display migliori).

Il modello maggiore arriva il 2 novembre, per il mini bisognerà aspettare un mese. La tecnologia è come la moda, continuamente costretta a reinventarsi, anche se non basta un nuovo taglio o una sfumatura inedita (che pure c’è, e si chiama grigio siderale). Ci vogliono mille no per un solo sì, per non aggiungere funzioni inutili e inventare qualcosa che davvero abbia senso. Così Cook parla con orgoglio dei 170 milioni di iPad venduti, ma enfatizza un altro dato: «L’uso dei tablet Apple è all’81% del totale; molti dei concorrenti sono adoperati poco o per niente».

 

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