Beppe Grillo e Movimento 5 Stelle, Berlusconi e De Gregorio: prime pagine e rassegna stampa

Pubblicato il 5 Marzo 2013 - 08:49 OLTRE 6 MESI FA

Il Corriere della Sera: “Quirinale, il piano per l’incarico”. L’ingorgo delle scelte. Editoriale di Michele Ainis:

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“Un vecchio regolamento ferroviario del Kansas innalzava un monumento alla prudenza: «Quando due treni s’incrociano sul medesimo binario devono fermarsi entrambi, e nessuno dei due può ripartire se non sia prima ripartito l’altro». Eccola qui, in questa norma paradossale e assurda, la fotografia dello stallo in cui ci siamo ficcati. Ma il paradosso investe pure il capostazione, non soltanto noi viaggiatori immobili. Perché è a lui, Giorgio Napolitano, che tocca dirimere l’ingorgo; e perché il Quirinale è a sua volta intrappolato in un ingorgo, dato che a metà aprile le Camere si riuniranno per eleggere il nuovo presidente. Qualora viceversa il nuovo coincidesse con il vecchio, tireremmo un respiro di sollievo; ma difficilmente il Parlamento ci farà questo regalo.
Da qui, allora, una domanda: e se fosse il successore di Napolitano a cresimare il premier battezzato dal suo predecessore? Situazione inedita, ma niente affatto impossibile. Per metterla a fuoco, osserviamo l’orologio della crisi: 12 o 15 marzo, prima convocazione delle Camere. A quel punto bisognerà eleggerne i rispettivi presidenti, e non sarà una passeggiata; poi costituzione dei gruppi, delle commissioni, delle giunte. Diciamo che la settimana dopo, a essere ottimisti, sul Colle può iniziare il valzer delle consultazioni”.

Dai No Global agli Indignados tutti i Debiti del Movimento. Articolo di Marco Imarisio:

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“Con Beppe Grillo ognuno ha il suo momento di già visto, già sentito, che evoca ricordi neppure troppo lontani. «In Sicilia buttiamo via le arance perché la finanza ha truccato il prezzo di quelle tunisine rendendole più convenienti. È questa l’economia che vogliamo?».
In quel passaggio fisso dei comizi dello Tsunami tour sembrava davvero di risentire la voce roca di José Bové, il contadino francese che dichiarava guerra alle multinazionali e a cavallo del cambio di secolo divenne uno dei volti più noti della breve epopea no global. «Les haricots verts…». Con i fagiolini verdi e il Marocco al posto di arance e Tunisia, ma diceva la stessa, identica cosa, in abbondante anticipo sul fondatore del M5S.
Grillo non si è inventato nulla, ma ha saputo occupare lo spazio lasciato dai movimenti, che hanno attraversato l’ultimo decennio in silenzio, ridotti all’irrilevanza da errori propri e dalle porte che la politica gli ha sempre sbattuto in faccia, magari dopo le consuete blandizie elettorali, come avvenuto nel 2006 con Fausto Bertinotti e Rifondazione comunista, la fine della storia no global”.

Iniziativa concordata per impedire la fuga dalla realtà dell’Unione. La nota politica di Massimo Franco:

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“Il primo gesto postelettorale di Mario Monti è una presa d’atto dei nuovi equilibri che si sono creati in Parlamento. La sua intenzione è di capire come si tradurranno in termini di scelte soprattutto a livello europeo. Nella lettera di invito a Palazzo Chigi che il premier ha deciso di mandare a Pier Luigi Bersani, Silvio Berlusconi e Beppe Grillo si indovina la volontà non tanto di riceverne un appoggio, ma di capirne le strategie. Conta di incontrarli separatamente. E il fatto che l’iniziativa sia stata annunciata dopo le due ore di colloquio avute ieri mattina da Monti con il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, conferma un raccordo con il Quirinale che si prolunga oltre il voto del 24 e 25 febbraio.
La tensione latente sui mercati finanziari e lo spread a 344 punti dice che sull’Italia grava il pericolo di un’offensiva speculativa. Ma dopo le rassicurazioni date da Napolitano a Berlino sulla continuità della politica economica del governo, si doveva spedire un segnale ulteriore agli alleati europei e alla Bce. L’invito ai tre capi delle coalizioni che si sono affrontate appena una settimana fa, più Monti alla guida della quarta, dà seguito alle parole del presidente della Repubblica. E punta a misurare quanto di comune e quanto di divergente ci sia sui temi che riguardano l’Europa; e a richiamare tutti alle proprie responsabilità di fronte a chi li ha votati”.

La Repubblica: “Monti convoca Grillo, Pd e Pdl”. La rivoluzione politica di Meetup le sezioni al tempo della Rete così 5Stelle è arrivata al 25%. Scrive Riccardo Luna:

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“Se qualcuno ancora si stesse chiedendo come mai Beppe Grillo ha vinto le elezioni politiche del 2013, potrebbe trovare le risposte che cerca facendosi un giro su Meetup. È il Facebook della politica, la trasformazione delle vecchie sezioni di partito al tempo delle rete. La differenza più evidente è che non esistono sedi fisiche: tramite Meetup ci si vede ogni volta dove capita, in un bar, in una sala in prestito oppure a casa di qualcuno. A costo zero o quasi. In questo momento ci sono 865 gruppi di “amici di Beppe Grillo” in 711 città di tutto il mondo, comprese Londra, Parigi, Ginevra, San Francisco e Perth, in Australia, dove ci sono «tre cittadini in autoesilio volontario».
Alcuni meetup sono vecchi di otto anni, gli ultimi dieci sono appena nati, fra il 1 e il 2 marzo. Complessivamente si tratta di oltre centoventimila cittadini che si impegnano sul loro territorio per quello che considerano essere il bene comune: acqua, rifiuti, ambiente, trasparenza della politica. La seconda differenza con molte sezioni di partito è che i meetup sono attivi davvero. Solo nello scorso weekend attraverso questa piattaforma sono state organizzate riunioni fisiche in oltre 250 luoghi”.

Compravendita, il processo si avvicina verso il rito immediato per il Cavaliere:
” Berlusconi verso un altro processo. La Procura di Napoli pensa a sottoporre il Cavaliere al giudizio immediato per la vicenda della “campagna acquisti” di deputati e senatori. È l’inchiesta sull’ “Operazione Libertà”: 3 milioni di euro versati al senatore Sergio De Gregorio, tra il 2006 e il 2008, per convincerlo a «sabotare » il governo Prodi.
L’ex premier, accusato di corruzione e finanziamento illecito insieme con De Gregorio e con Valter Lavitola, era stato convocato dai pm per rendere interrogatorio in una delle tre date a scelta, entro sabato 9. Ma Berlusconi ha preso tempo e, attraverso il suo avvocato Michele Cerabona, ha fatto sapere che potrebbe rendersi disponibile solo dal 15 marzo, ovvero dopo l’insediamento delle nuove Camere. Uno slittamento chiesto sulla base di impegni sia politici che giudiziari. Analogo rinvio, non prima del 19 marzo,ha chiesto anche Niccolò Ghedini, citato invece come teste”.
La Stampa: “Monti convoca i leader”. Italia-Germania al bivio della storia. Editoriale di Gian Enrico Rusconi:
“Il risultato delle elezioni italiane e il senso di paralisi politica che ne deriva, rischiano di approfondire il solco tra italiani e tedeschi. La vecchia buona retorica europeista non funziona più. L’Italia si illude di poter trasformare il proprio malessere in un ricatto europeo”.
 “I fascisti non ci tolsero i diritti” È già polemica sulla portavoce. Articolo di Andrea Malaguti:
Il black out. Il buco nero del web, l’oscuramento de La Cosa – internet tv del MoVimento 5 Stelle decisa a trasmettere secondo per secondo questa prima giornata di gloria – coincide casualmente con l’unico momento di democrazia reale, con i cittadini-eletti presenti in carne e ossa e per la prima volta connessi senza passare da Skype, nella sala conferenze dell’hotel Universo di Roma, Best Western quattro stelle infilato in uno stradino a due passi dalla stazione, dove il traffico va in tilt poco dopo le nove, quando è chiaro che il Guru genovese del depistaggio ha deciso di spostare qui, tra venditori cinesi, bancarelle, auto della polizia, vigili nevrotici e turisti sgomenti, il quartiere generale della sua nuova classe dirigente. È il caos. Fuori e dentro l’albergo”.

Il cortocircuito dei democratici tra Quirinale e dissidi interni. Scrive Federico Geremicca:

“Che situazione è quella nella quale la presidenza della Repubblica si vede costretta a precisare (con una lettera a l’Unità) che dal giorno delle elezioni ad oggi nessun colloquio è mai intercorso tra il Capo dello Stato e i dirigenti del principale partito (il Pd) della coalizione che ha la maggioranza dei seggi alla Camera? O ancora: che situazione è quella nella quale la Direzione del Partito democratico si riunisce (domani) per dare il via libera ad una proposta politica – governo con Beppe Grillo o addirittura di minoranza – sulla cui praticabilità lo stesso organismo dirigente forse non scommetterebbe un euro? Una situazione insidiosa e pesante, naturalmente. E forse perfino peggio, considerato che partiti e istituzioni si trovano a dover dare un governo a quella che è gia stata frettolosamente definita Terza Repubblica, dopo un voto espresso con una legge elettorale (maggioritaria) da Seconda Repubblica e un esito (frammentato) addirittura da Prima Repubblica”.

Esplode il caso Vatileaks Le porpore vogliono sapere. Articolo di Andrea Tornielli:

“Vatileaks entra nel conclave. Nella prima giornata di discussione a porte chiuse e cellulari schermati, i 144 cardinali riuniti per parlare del futuro della Chiesa hanno sentito riecheggiare almeno tre volte nell’aula del Sinodo la richiesta di conoscere il rapporto riservato sulla fuga di documenti e i veleni curiali. Nella mattina sono stati tre i porporati che hanno espresso il desiderio di sapere che cosa c’è scritto nella «Relatio» preparata dalla commissione dei cardinali detective, il cui contenuto è sotto chiave. La richiesta è stata avanzata dal tedesco Walter Kasper, ottant’anni appena compiuti, in conclave per un soffio, appartiene all’ala dei vecchi curiali più critici verso la gestione della Segreteria di Stato degli ultimi anni. Stessa domanda anche da due «papabili» europei di peso. Il primo è l’austriaco Cristoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, che nel 2010 criticò pubblicamente l’ex Segretario di Stato Angelo Sodano per come erano stati gestiti i casi di abusi nell’ultimo periodo wojtyliano. Il secondo è l’ungherese Peter Erdö, arcivescovo di Budapest, considerato un possibile candidato europeo al Soglio di Pietro”.

Kenya al voto fra massacri e vendette. Articolo di Tomaso Clavarino:

“Dopo mesi di crescenti tensioni, in un clima di grande attesa per quello che da molti analisti è stato definito l’appuntamento elettorale più importante e complesso nella storia del paese, ieri il Kenya si è recato alle urne per eleggere il presidente, il parlamento, i governatori regionali e i presidenti di oltre 40 assemblee distrettuali. Un’elezione attesa dalla popolazione e monitorata con attenzione dalla comunità internazionale memore del bagno di sangue che seguì le ultime, contestate, elezioni nel 2007. Mesi e mesi di scontri, agguati, omicidi, vendette, perpetrati dai clan dei candidati che lasciarono sul terreno più di mille morti e migliaia di sfollati, e portarono il Kenya sull’orlo del baratro. Nonostante le lunghe code ai seggi, dovute sia all’alta affluenza che ai problemi con le nuove modalità di votazione computerizzate (una delle novità introdotte dal governo per cercare di evitare frodi), anche questa tornata elettorale si è aperta nel peggiore dei modi: a Changamwe, località nei pressi di Mombasa, nella notte tra domenica e lunedì, un gruppo armato ha assaltato una stazione di polizia. Il bilancio parla di almeno dodici vittime, equamente distribuite tra poliziotti e assalitori”.

Il Fatto Quotidiano: “5 Stelle: Governo politico no. Ma governo tecnico forse sì”. Zero tituli. Editoriale di Marco Travaglio:

“C’è una sola corporazione più refrattaria della casta politica al cambiamento: quella dei giornalisti. Ieri ci siamo muniti di microscopio elettronico alla ricerca di una qualche traccia della notizia pubblicata sabato dal Fatto: la denuncia, precisa e circostanziata, del procuratore del Trentino Alto Adige della Corte dei Conti Robert Schülmers sulle pressioni ricevute dal Pg Nottola e dal presidente Giampaolino per salvare le chiappe al governatore della Provincia autonoma di Bolzano, Luis Durnwalder della Südtiroler Volkspartei. Costui, a leggere le indagini dei magistrati contabili, ma anche varie inchieste giornalistiche, è un incrocio fra Matusalemme e Sardanapalo: al potere ininterrottamente dal 1989 (prima del crollo del Muro di Berlino), è accusato di sperperare il denaro pubblico in regali all’ex moglie e all’ex fidanzata e in spese folli col solito trucco dei “rimborsi”. Ma è anche un alleato storico del centrosinistra: alle ultime elezioni i 145 mila voti di Svp sono stati decisivi per assicurare a Bersani il primo posto”.

Il Giornale: “La Banca d’Italia va al governo”. Cercasi indignati per il salva-Penati. Editoriale di Luca Fazzo:

Il processo al «sistema Sesto», ovvero al siste­ma di tangenti del Pci e dei Ds in Lombardia, svanisce nelle nebbie della prescrizione nel medesimo giorno in cui il processo a Silvio Berlusconi per il caso Ruby mette il turbo e si avvia a una conclusione che si annuncia catastrofica per l’imputato. Mentre l’intero sistema di potere e mazzette che ruotava intorno a Filippo Penati – il suo braccio destro Giordano Vimercati, e soprat­tutto gli uomini delle Coop, con in testa lo zar rosso Omer degli Esposti – se la cava in scioltezza; a cari­co di Berlusconi si tengono intanto tre processi contemporaneamente, e entro la fine del mese ci saranno tre sentenze. Uno scenario sufficiente a sfatare il mito che arzigogoli e leggi provvidenziali servano in questo Paese a togliere d’impiccio solo e soltanto il Cavaliere. Leggi su misura dei guai di Berlusconi in questi anni sono state approvate, e in qualche caso non si è nemmeno cercato di negare che avessero come fine sottrarre il fondatore del Pdl all’attacco delle toghe. Se la stessa cosa non è accaduta per i guai della sinistra, è per un motivo semplice: i guai giudi­ziari della sinistra non ci sono stati. E quando sono arrivati, ecco anche per essi le leggi ad hoc. Sul rap­porto dei Ds col denaro per vent’anni non si sono aperte inchieste. Non c’erano inchieste a Siena, tempio della finanza rossa, e non c’erano a Sesto San Giovanni, la roccaforte operaia. Quando si è iniziato a scavare anche in quella direzione, si è sco­perto che la materia prima non mancava. A Sesto è stato scoperchiato un sistema monolitico di collu­sioni il cui fine ultimo era mantenere inattaccabile il potere del Partito. Quando finalmente qualcuno ha deciso di cantare, non era ancora troppo tardi perché si facesse giustizia”