Claudio Magris su Fb a sua insaputa: “Difendo mio diritto a disabilità digitale”

di redazione Blitz
Pubblicato il 6 Febbraio 2014 - 10:28 OLTRE 6 MESI FA
Claudio Magris su Fb a sua insaputa: "Difendo mio diritto a disabilità digitale"

Claudio Magris su Fb a sua insaputa: “Difendo mio diritto a disabilità digitale”

ROMA – Claudio Magris, scrittore ex senatore e oggetto d’esame alla maturità 2013, di Facebook e della Rete non ne vuole proprio sapere. Per questo, quando ha scoperto di essere anche lui iscritto “a sua insaputa” sul social network, ha scritto in prima pagina sul Corriere della Sera che lui “non ci sta”, difendendo il suo diritto non solo all’invisibilità, ma alla “disabilità digitale”.

In sua difesa Magris invoca l’articolo 20, comma 2, della Costituzione italiana che sancisce il sacrosanto diritto di non partecipare, ovvero di prendere o meno parte a una qualsivoglia associazione. Diritto, spiega Magris, nato all’indomani del ventennio fascista, per tutelare i cittadini dalla omnipervasività del Partito Unico. Ma che ben si adatta ugualmente a quel “partito invisibile” che si nasconde dietro gli strumenti della socializzazione 2.0. Scrive Magris:

Quell’articolo della Costituzione è oggi più che mai valido, per tutt’altre ragioni; è uno scudo che protegge da pericoli e aggressioni diverse. Viviamo in una eclatante contraddizione. Da un lato si rivendica, in ogni campo, il valore della diversità, si riconoscono diritti e pari dignità a categorie e a culture prima ignote o conculcate. Dall’altro si impongono, esplicitamente o subliminalmente, comportamenti, gusti, abitudini eguali per tutti e obbligatori per tutti.

Lo scrittore rivendica il proprio diritto alla disabilità digitale per non cadere nella trappola omologante del Partito Invisibile:

Tutti devono leggere gli stessi libri, discutere gli stessi problemi, partecipare agli stessi eventi. Chi non lo fa, è un asociale che va ricondotto alla norma anche contro la sua volontà, un clochard che viene obbligato a indossare lo smoking.

Ne ho avuta esperienza diretta scoprendo di essermi iscritto a Facebook, cosa che non ho fatto né mai avuto intenzione di fare, anche perché non so usare gli strumenti dell’universo digitale, le mie dita sono in tal senso atrofizzate come quelle di un esploratore polare assiderato. Pure quella notizia, cui da solo non avrei potuto accedere, mi è stata comunicata da qualcuno che invece fa parte di quel mondo.

Non ho nulla di cui lamentarmi; non c’è stato alcun uso scorretto di quella falsificazione, nessun cattivo scherzo. Forse chi l’ha fatto pensava di farmi un regalo, come si regala un abbonamento alla stagione lirica. Anche in questo caso, tuttavia, sarebbe bene informarsi se il beneficiario è un amante dell’opera o del rap. Ma credo si sia trattato di un richiamo all’ordine, di un’iscrizione d’ufficio di qualcuno colpevolmente riluttante al dovere di prendere la tessera.

Rivendico il diritto alla mia disabilità digitale; i problemi che essa può crearmi nel mio lavoro sono fatti miei, e non ho bisogno di generosi soccorritori simili a quei boyscout della barzelletta che aiutano una vecchietta ad attraversare la strada, anche se la vecchietta non aveva alcuna intenzione di attraversarla.

E chiede di distribuire a tutti copie dell’articolo 20 della Costituzione, perché

C’è un Partito Invisibile che vorrebbe far indossare a tutti la stessa camicia, come un tempo la camicia nera, e lo fa in modo subdolo e insidioso. Forse il meccanismo del mondo è essenzialmente un congegno escogitato per impedire alla gente di andare a spasso, così, senza meta, come i cani per le strade di Parigi nel vecchio film di Tati, Mon oncle – un cammino più dignitoso e più libero di ogni marcia.