I ricordi eretici di Edgar Morin: “Parigi tra amori e rivoluzioni”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 16 Novembre 2013 - 15:59 OLTRE 6 MESI FA
edgar morin

Edgar Morin sulla Stampa

ROMA – L’autobiografia di Edgar Morin è lunga un secolo e s’intreccia con l’amore-odio per Parigi: dalle donne ai libri, dalla Resistenza alla rottura con il partito comunista.

Scrive Mirella Serri sulla Stampa:

(…) La biografia di una metropoli e l’autobiografia di Morin fanno scintille sotto lo sguardo di un uno studioso errante per metodo e per temperamento (capace di passare dal cinema all’etnologia), surrealista, amico di François Mitterrand, André Breton, Raymond Aron. I suoi studi, come L’industria culturale, Pensare l’Europa, hanno anche profondamente influenzato la ricerca sociologica in Italia. E tutto comincia nel popolare quartiere di Ménilmontant. «Mio padre, commerciante ebreo di Salonicco, aveva un vero culto per Parigi, conosceva a memoria tutti i ritornelli del Novecento e cantava ‘Paris! Paris, ô ville infâme et merveilleuse” e da piccolo gorgheggiavo così anche io», ricorda Morin. «Ménilmontant incarnava una cultura delle relazioni familiari, con i vicini che chiacchieravano dalle finestre e si passavano il sale. C’erano i cinematografi con i film western e una grossa maschera chiamata la “donna cannone”». Era un mondo privo di discriminazioni e nella scuola Rollin c’erano cinque o sei ebrei per classe, alsaziani, provenzali, askenaziti polacchi.

A dieci anni si verificò quella che lo scrittore chiama la mia Hiroshima interiore. «Muore mia madre. Sono estraneo a tutto, il mio rifugio è la scuola ma soprattutto lo è la vita dinamica, travolgente di Parigi. E le letture. Dopo i romanzi di cappa e spada arrivano Anatole France, Tolstoj, Balzac, Stendhal, Flaubert che, a volte, tenevo nascosti sulle ginocchia durante le lezioni. Il cinema è stato una linfa vitale con René Clair, Georg Wilhelm Pabst, Fritz Lang, Jean Renoir, Julien Duvivier, Marcel Carné. All’attrice Michèle Morgan scrissi in una lunga lettera che avrei voluto proteggerla. I cinema ‘cochons’ furono una sorpresa: ci si incollava a una specie di scatola per vedere un filmato audace, il mio primo approccio è stato con un bianco didietro sculacciato da un maturo signore… Ma rimasi sbalordito: il mio prof d’inglese era appiccicato alla scatola vicina».

Parigi acquista un nuovo splendore con il Fronte popolare di Léon Blum. «Riscontrerò una somiglianza tra il governo delle sinistre degli anni Trenta e le barricate del ’68, furono entrambi momenti di festa collettiva». Un’avvisaglia del futuro si percepì all’Esposizione universale del 1937. Si fronteggiavano due giganteschi padiglioni: uno, tedesco, sormontato dalla croce uncinata; l’altro, sovietico, con falce e martello. «Nella Francia schiacciata dai nazisti entro nella resistenza. Avevo paura dell’arresto e della tortura ma, contemporaneamente, mi sentivo partecipe di una formidabile solidarietà, libero dai sensi di colpa, forse ereditati dalla mia identità». Morin sfiorò spesso il pericolo mortale. «Ma una volta i rischi li corsi per… inseguire il piacere. Mi ero identificato con Poncet, uno dei miei nomi di copertura, e dimenticai che portavo in me un indelebile marchio ebraico. Fui presentato a Mado, fascinosa prostituta e la seguii all’hotel frequentato anche da molte Ss. Poi arrivò il momento della verità. Avevo scordato di essere circonciso». Nella Parigi dominata dalle svastiche, nonostante le retate e gli arresti nei luoghi pubblici, Morin non rinuncia alla vita culturale.

«Vidi La scarpetta di raso di Paul Claudel alla Comédie Française, l’Antigone di Jean Anouilh, Le mosche di Sartre, Sodoma e Gomorra di Jean Giraudoux. Lessi Il mito di Sisifo di Albert Camus, L’essere e il nulla di Jean Paul Sartre. Alla Sorbona a volte seguivo il magnifico corso di Gaston Bachelard». Gli anni postbellici, paradossalmente, furono quelli della delusione e della disoccupazione: Morin nel 1951 abbandonò il Pcf con cui era in dissenso fin da quando era stato assegnato il Nobel ad André Gide, bollato dal partito come «fascista pederasta». La frattura si accentuò a seguito del rapporto di Morin con Elio Vittorini che era critico nei confronti del Pci. Poi il sociologo diede vita ad Arguments ispirata a Ragionamenti, pubblicazione di sinistra di Franco Fortin

La passione per la lotta politica non lo abbandonerà mai e si ritroverà, con Marguerite e altri amici, contro la guerra d’Algeria o per sostenere la rivoluzione ungherese. Gli amori per Magda, Marilù, Edwige e le altre riempiono la sua vita. Avrebbe potuto esserci anche la Duras. «C’era una grande rivalità tra il clan di Simone de Beauvoir e il gruppo che ruotava intorno alla Duras. Si consideravano entrambe grandi scrittrici. Marguerite disdegnava anche Colette. Era straordinaria: scriveva, cucinava piatti deliziosi e la sua casa ospitava Albert Camus, Maurice Merleau-Ponty, Maurice Nadeau, Jacques Lacan». Durante le feste danzanti, Marguerite dedicava una particolare attenzione allo scrittore e l’attrazione raggiungeva il diapason: «Ma io ero inibito pensando ai nostri rispettivi partner nella stanza accanto, anche se Marguerite a quell’epoca non si negava le conquiste. Veramente mi rammarico di non aver fatto l’amore con lei».(…)

Lo scrittore da poco è convolato a nuove nozze e oggi sta studiando la Parigi neocosmopolita degli africani, maghrebini, cinesi mescolati ai ricchi italiani, inglesi, russi. Ancora una volta la vita di Morin si intreccia con quella della sua città: «Ai vecchi operai si è aggiunto un nuovo proletariato di immigrati, e dunque nuove forme di discriminazione e di emarginazione, “ville infâme et merveilleuse!” diceva mio padre e ora è più vero che mai». (…)