Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “Camera di coniglio”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 14 Maggio 2015 - 08:27 OLTRE 6 MESI FA
Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: "Camera di coniglio"

Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “Camera di coniglio”

ROMA – “Da ieri – scrive Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano – grazie al nostro Antonio Massari, sappiamo che la sentenza della Corte d’assise d’appello di Chieti che mandò in parte assolti (per avvelenamento delle acque) e in parte prescritti (per disastro ambientale) 19 ex dirigenti e tecnici della Montedison, imputati per il mortifero inquinamento causato dalle discariche di Bussi sul Tirino (Pescara), è altamente sospetta di pressioni indebite di un giudice togato su alcune giurate”.

L’articolo di Marco Travaglio: Le quali le hanno raccontate al nostro inviato, sostenendo di non essere state ammesse alla lettura degli atti e soprattutto di essersi sentite dire dal presidente che “se avessimo condannato per dolo, e se poi gli imputati si fossero appellati e avessero vinto la causa, avrebbero potuto citarci personalmente, chiedendoci i danni, e avremmo rischiato di perdere tutto quello che abbiamo”.

La simpatica conversazione – raccontano sempre le due giurate, due cittadine come noi estratte a sorte per giudicare un caso più grande di loro – avvenne in un ristorante-pizzeria di Pescara il 16 dicembre scorso, tre giorni prima della sentenza. A quella cena, presenti il presidente della Corte e il giudice a latere, si parlò del cuore del processo: il “dolo” contestato dai pm Bellelli e Mantini ai 19 responsabili della Montedison, accusati di essere ben consapevoli dell’inquinamento che gli stabilimenti causavano da anni al territorio e di non aver fatto nulla per scongiurarlo e per mettere sull’avviso la popolazione, e dunque imputati di disastro doloso (intenzionale) (…). Ora, sulla correttezza della condotta del presidente, si pronunceranno il titolare dell’azione disciplinare (il ministro Orlando, che ha già chiesto gli atti in vista di una molto opportuna ispezione alla Corte di Chieti) e il Csm, nonché i giudici della sede più vicina competente a giudicarlo. E, per fortuna, quel verdetto potrà essere ribaltato in appello, o addirittura rifatto in primo grado. Ma questa vicenda illumina meglio di tutte le chiacchiere politico-giuridiche il tema delicatissimo della responsabilità civile dei magistrati, specie alla luce della sciagurata legge approvata dal Senato il 20 novembre 2014 e dalla Camera il 24 febbraio 2015: proprio a cavallo del processo di Chieti.

“Finalmente i giudici pagano per i loro errori”, era il refrain dei trombettieri della cosiddetta “riforma”, e naturalmente del premier Renzi con le grancasse di tutta la grande stampa al seguito. Il risultato della campagna e della suprema porcata lo racconta a perfezione la nostra storia: stabilire che qualunque imputato può denunciare i suoi giudici (togati e popolari), attraverso lo Stato, per qualunque decisione sgradita, in qualunque fase del giudizio, e senz’alcun filtro di ammissibilità da parte del tribunale ricevente, equivale a sottoporre tutti i collegi alla spada di Damocle permanente delle cause per danni. Soprattutto quando sul banco degli imputati c’è un soggetto potentissimo (come la Montedison), per giunta assistito da un avvocato famoso e ben introdotto (come Paola Severino, fino all’anno prima ministra della Giustizia) (…).