Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “La lettera semovente”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 24 Dicembre 2013 - 08:27 OLTRE 6 MESI FA
Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: "La lettera semovente"

Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “La lettera semovente”

ROMA –  “La lettera semovente” scrive Travaglio sul Fatto Quotidiano: “Fermi tutti, attenzione attenzione, massima priorità. Si prega di sospendere per un attimo i preparativi per le festività natalizie affinché la cittadinanza tutta possa prendere buona nota del nuovo foglio d’ordini del Minculnap, diffuso con dispaccio luogotenenziale attraverso la stampa corazziera”.

L’editoriale:

 È falso – si ripete: è falso – che Cossiga serbasse rancore a Napolitano per la campagna da lui condotta nel 1991 per costringerlo alle dimissioni mentre il Pds ne chiedeva l ’ impeachment. Anzi, a dispetto dei soliti detrattori di Sua Altezza, l’illustre predecessore glien’era affettuosamente grato. La sconvolgente rivelazione, destinata a rivoluzionare la storia d’Italia, ma anche dell’umanità intera, emerge netta e inequivocabile da una lettera autografa di Cossiga datata 2 novembre 2005 in cui l’ex capo dello Stato scrive all’attuale successore di aver “letto con grande interesse e viva partecipazione le pagine del tuo libro Dal Pci al socialismo europeo”, apprezzandone “l’incisiva sintesi” e “l’obiettività” e confermandogli “stima e amicizia”, al punto da auspicare che “il centro-sinistra (anche col trattino) si valorizzi” e da vaticinare: “Ma perché non eleggerti Capo dello Stato? Io ti voterei!!!”.

La profezia mirabilmente si avverò sette mesi dopo, dando così un tocco soprannaturale all’Evento. Restano da capire le modalità della diffusione del sacro incunabolo, prodigiosamente apparso lo stesso giorno su La Stampa, Il Messaggero e il Corriere della Sera. Secondo Marcello Sorgi (La Stampa), la lettera è “uscita dall’archivio personale di Napolitano”, “venuta fuori”: si sa come sono le lettere, specie quelle di Cossiga: ogni tanto escono a prendere una boccata d’aria. Per Paolo Cacace (Il Messaggero), invece, il prezioso reperto è stato “trasmesso dall’ufficio stampa del Quirinale per puntualizzare un articolo apparso sul Messaggero il 17 dicembre”, cioè sei giorni prima: ma a questo punto non si vede perché la trasmissione abbia riguardato anche altri due giornali.

Forse è stata l’intraprendente lettera che ha fatto tutto da sola, fotocopiandosi e autoinviandosi per posta alle tre redazioni? O s’è infilata nel fax e ha composto i tre numeri? O magari s’è autoscannerizzata e autoinviata via email ai tre indirizzi? Fortuna che Marzio Breda del Corriere fa la spia: “Maurizio Caprara, portavoce di Napolitano, l’ha fatta avere al Corriere per sgombrare certe intossicate letture”. Già, ma chi l’ha fatta avere alle altre due testate? E perché solo a quelle e non ad altre? E la stampa estera? Forse il Colle temeva che, inviandola a tutti i giornali, essa potesse imbattersi in un giornalista (pare che qualche raro esemplare di questa brutta razza ancora si annidi in certe redazioni): uno che la leggesse, la trovasse di scarso rilievo e la relegasse a fondopagina, o magari approfondisse la questione e fosse colto dal dubbio che quel burlone di Cossiga stesse semplicemente prendendo in giro Napolitano. Rischi che non si corrono affidando la velina ai corazzieri di provata fede. I quali non si limitano a pubblicare le 20 righe di Cossiga su intere paginate, manco si fosse dimesso Obama. Ma vi aggiungono sapide chiose autorevolmente ispirate da Sua Maestà, col lessico imperativo, lo stile marziale e l’empito patriottico del Monito Regio. “Nella polemica politica quotidiana – tromboneggia il Cacacitano – per meri interessi di parte, si alterano verità storiche ovvero si accreditano ricostruzioni menzognere su rapporti personali o istituzionali improntati, viceversa, alla massima linearità e trasparenza”. “La lettera – turibola il Sorgitano – venuta fuori in questi giorni di sorde contrapposizioni, testimonia di uno stato dei rapporti interni alla classe politica (in cui la durezza degli scontri non doveva mai intaccare le relazioni personali) forse perduto per sempre. E oggi più che mai rimpianto da Napolitano”. “Un certo fronte politico-mediatico – deplora Bredolitano – recrimina che anche Napolitano avrebbe tracimato dagli argini costituzionali e sarebbe meritevole d ’ impeachment”.

Pretesa – aggiunge il Breda – che oggi poggia su basi più che fragili, costituzionalmente inesistenti, lanciate dal circuito 5 Stelle-Fatto Quotidiano. Ma su cui soffia aggressivamente pure Forza Italia, nella speranza di alzare il più tossico dei polveroni. In modo da intimidire il capo dello Stato, condizionarne i passi, spingerlo a sloggiare dal Colle dopo averlo pregato col cappello in mano di concedere il bis. Un pressing incrociato che si alimenta di ricostruzioni confuse o distorte, approssimative o platealmente fuorvianti, per Napolitano. Insopportabile per lui passare alla stregua di un irriducibile avversario ideologico del vecchio presidente”.

Ora, c’è una bella differenza fra chi rimprovera da sette anni a Napolitano di aver abusato continuamente dei suoi poteri e chi, come Forza Italia, lo accusa di non aver dato la grazia plenaria a B., cioè di non aver ancora abusato abbastanza. Ma, soprattutto, se Napolitano non voleva passare da irriducibile avversario di Cossiga, doveva pensarci prima. PRECISAMENTE nel 1991- ’ 92, quando in decine di interventi e articoli accusò Cossiga di minacciare “la serena dialettica tra i poteri democratici”, di tenere “comportamenti inquietanti”, di compiere “forzature istituzionali”, “fino alla sconcertante e inquietante distribuzione di etichette e di voti a giornali”; esprimeva “sconcerto e inquietudine per le sue dichiarazioni e le sue sempre più concitate reazioni”, gli intimava di “tornare sul trono”, di garantire la “libertà di critica che discende dal principio della responsabilità politica ‘ diffusa ’ del presidente della Repubblica”. E quando il Pds votò per l ’ impeachment, se ne dissociò con gli altri miglioristi solo perché non avrebbe raccolto la maggioranza in Parlamento, preferendo l’arma più efficace della richiesta di dimissioni, ma negò che la sua fosse “una dissociazione” dal Pds: “Non ho dubbi sulla gravità dei comportamenti e interventi come quelli del capo dello Stato”, che ha “assunto un ruolo politico incompatibile con la funzione”. E alla fine non escluse neppure lui l ’ impeachment: “Tre sono le vie che possono essere percorse: quella dell ’ impeachment; quella di sollecitare le dimissioni del capo dello Stato; che Cossiga si astenga da interventi impropri” che lo vedono ormai “incompatibile con il ruolo di garanzia che la Costituzione attribuisce al presidente della Repubblica”. Quindi non si capisce bene cosa smentisca la lettera. Del resto, per sapere cosa pensava Cossiga di Napolitano, basta un ’ Ansa del 16 maggio 2006, dopo il suo discorso d’insediamento: “Se avessi parlato io di modifiche alla Costituzione, bipolarismo e altre cose di natura squisitamente politica, come Napolitano ha fatto giustamente (poiché ha ben compreso che il presidente super partes è un’enorme sciocchezza e… il nostro regime da puramente parlamentare si è evoluto in quasi semipresidenziale), i gruppi parlamentari del Pci, lui e Barbera esclusi, avrebbero chiesto il mio impeachment, come avevano già fatto per aver io detto molto di meno…”.

L’UNICA differenza fra i due è che Cossiga, quando voleva dire qualcosa, lo diceva. Napolitano, quando non vuole lasciare impronte digitali, “fa trapelare” i suoi gorgoglii da misteriose “fonti del Quirinale” tramite appositi corazzieri a mezzo stampa, secondo una forma di comunicazione molto apprezzata in Corea del Nord. Che, in Italia, ha un solo precedente: le veline del Minculpop. “Non pubblicare fotografie di Carnera a terra sul ring”, “Non pubblicare che il Duce ha ballato”, “Diminuire le notizie sul cattivo tempo”, “Riprendere la campagna contro le mosche”. Ma soprattutto: “Il discorso di oggi del Duce si può commentare. Il commento ve lo mandiamo noi”.