Sentenza Eternit. Marco Travaglio: sulla prescrizione è fondata l’Italia

Pubblicato il 22 Novembre 2014 - 10:30 OLTRE 6 MESI FA
Sentenza Eternit. Marco Travaglio: sulla prescrizione è fondata l'Italia

Sentenza Eternit. Marco Travaglio: sulla prescrizione è fondata l’Italia

ROMA – Italia Repubblica “fondata sulla prescrizione”, sostiene Marco Travaglio nel suo editoriale di sabato 22 novembre 2014:

“Un tempo Repubblica fondata sul lavoro, è diventata una Repubblica fondata sulla prescrizione”.

Lo spunto è la amara conclusione della vicenda giudiziaria della Eternit, con la fine di tutto per prescrizione.

C’è stata una sollevazione di voci almeno apparentemente indignate, di impegni a allungare i tempi della prescrizione. Marco Travaglio, la cui indignazione è invece sopra ogni dubbio, anche venerdì ha preso di mira le causa immediata della sentenza e ora è facile profeta:

“Vedrete: neppure stavolta, passata la buriana del caso Eternit, si farà qualcosa di serio contro quest’amnistia per ricchi. Un potente italiano senza prescrizione è un paracadutista senza paracadute, un equilibrista senza rete”.

Resta solo un dubbio, a chi segue da qualche tempo la polemica sulla prescrizione, che molti giudici vorrebbero eliminare: che forse sui tempi lunghi dei processi che alla fine portano alla prescrizione influiscono principi di diritto e procedura che garantiscono un minimo di tre gradi di giudizio (ma si può arrivare a quattro o cinque con sentenze fatte male e avvocati molto bravi), le norme che impongono il ricorso ai maxi processi e forse anche qualche colpa di inefficienza e lentezza da parte di alcuni giudici, senza contare talvolta lentezza e complessità di indagini per mancanza di mezzi e forse anche di limitate capacità del sistema inquisitivo.

Marco Travaglio è invece schierato dalla parte della Magistratura e prende lo spunto per una sfuriata contro i colleghi giornalisti:

“È molto divertente (si fa per dire) vedere giornali, tg, talk show e politici dare addosso al patron dell’Eternit salvato in Cassazione con la solita prescrizione. Da destra a sinistra lo dipingono tutti (e giustamente) come un colpevole che l’ha fatta franca (solo Repubblica è riuscita a titolare “Nessun colpevole”, come se la sentenza non affermasse che il reato c’è e l’ha commesso l’imputato). Sono gli stessi che, quando noi scrivevamo le stesse cose di Andreotti, o di Berlusconi o di un altro a caso nella miriade di colletti bianchi miracolati da Santa Prescrizione, ci tacciavano di “giustizialisti” secondo la tripla equazione “prescritto uguale assolto” – “assolto uguale innocente” – “innocente uguale vittima dei magistrati”.

L’equazione è parte integrante dell’auto assoluzione che Berlusconi si è più volte concesso, confondendo appunto scadenza dei tempi del processo con innocenza:

“Ora è comprensibile che, dinanzi al responsabile di quasi 3mila morti (per ora) d’amianto, abbiano qualche problemino a trattarlo come una vittima della malagiustizia: infatti, quando lui prova ad atteggiarsi ad agnello sacrificale, gliele cantano e gliele suonano tutti di santa ragione.

Non rischiano nulla (a parte incontrare il parente incazzato di una delle vittime): Schmidheiny è un barone svizzero, non ha in mano la carriera di nessuno dei pennivendoli cantori dell’Andreotti e del Berlusconi vergini e martiri, dunque si può finalmente dire che la prescrizione – specie dopo una o due condanne – non significa assoluzione dell’innocente, ma impunità del colpevole.

Bisogna approfittare del momento favorevole per affermare altri due principi.

1)Anziché alleviare la già lievissima legge Severino per risparmiare la decadenza agli amministratori locali condannati in primo grado, si dovrebbe estenderla a chi acchiappa al volo la prescrizione anziché rinunciarvi (esclusi i reati di opinione e bagatellari): l’art. 54 della Costituzione impone di esercitare le pubbliche funzioni “con disciplina e onore”, due concetti incompatibili con la condotta di chi si prende, e magari si procura, la prescrizione per un reato contro la stessa PA.

2) Anziché blaterare di tecnicismi e avventurarsi in complicati calcoli sui tempi dei processi e sulle proposte per allungare la prescrizione di qualche mese (come fa l’inutile ddl dell’inutile ministro Andrea Orlando), bisogna avere il coraggio di dire fino in fondo la verità.

Nella Prima Repubblica la classe dirigente più marcia d’Europa (la nostra) si assicurava l’impunità a suon di colpi di spugna: uno in media ogni anno e mezzo (35 amnistie e/o indulti dal 1946 al 1990).

Poi, nel 1992, per arginare la vergogna e il discredito, il Parlamento portò a due terzi la maggioranza parlamentare per il “liberi tutti”, e riuscì a ottenerla una sola volta in 22 anni: nel 2006.

Nella Seconda Repubblica il posto dell’amnistia/indulto l’ha preso la prescrizione, che se possibile è ancor più odiosa: perché non è un colpo di spugna per tutti, ma selettivo, censitario, razziale. Salva ricchi e potenti, quasi mai i poveracci.

Il bottino dei potenti supera di gran lunga quello dei poveracci. Ma i potenti, diversamente dai poveracci, non possono finire in galera: mandano in Parlamento i loro avvocati e burattini a legiferare per la propria impunità.

Che coincide con la stabilità del sistema. Basta immaginare come sarebbero il Parlamento, il governo, gli enti locali e regionali, la pubblica amministrazione, i Cda di aziende e banche, l’assemblea di Confindustria e i vertici delle forze dell’ordine e dei servizi di sicurezza se non esistesse la prescrizione, o almeno si fermasse al rinvio a giudizio come nei paesi civili. Sarebbe un’ecatombe”.