Spread sale perché Renzi non fa. Giuseppe Turani: misura di fiducia non complotti

di Redazione Blitz
Pubblicato il 20 Maggio 2014 - 12:36 OLTRE 6 MESI FA
Spread sale perché Renzi non fa. Giuseppe Turani: misura di fiducia non complotti

Mario Monti

ROMA – Lo spread non mente, è un indice inesorabile di fiducia, come spiega Giuseppe Turani in un articolo sulla rivista Uomini e Business. La fiducia è quella dei mercati internazionali, che poi sono migliaia di persone, per lo più giovani, che comprano e vendono titoli di stato o azioni da cubicoli senza finestre in grattacieli da Francoforte a Londra, da Chicago a New York.

Lo spread non lo si può manipolare. Nell’articolo di Turani c’è la conferma che non ci fu, perché non era tecnicamente possibile, un complotto internazionale per far cadere Berlusconi facendo schizzare lo spread viene dalla cronaca di questi giorni. Lo spread è tornato a salire anche se non c’è più Berlusconi ma Matteo Renzi, perché Renzi, come dicono quelli della finanza, “doesn’t deliver”, promette ma non mantiene.

Il racconto di Turani è chiaro quanto stringato. Ha inizio come una fiaba:

C’è stato un tempo, lontanissimo, come nelle fiabe, in cui lo spread fra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi (a dieci anni) era uguale a 24 (ma siamo nel 2006, epoca Prodi a palazzo Chigi). Il che significa che il “debito italiano” era valutato dai mercati finanziari internazionali all’incirca come quello tedesco. Quella piccolissima differenza di 24 punti possiamo attribuirla al fatto che da noi di norma c’è più sole e si vive un po’ più disinvoltamente.
Ma nel gennaio del 2009 tutto appare dimenticato. C’è la Grande Crisi finanziaria internazionale, si avvertono scricchiolii nei paesi dell’area mediterranea e i prestatori di denaro si fanno più attenti e più guardinghi. E infatti all’inizio del 2009 lo spread italiano (sempre rispetto ai Bund tedeschi a 10 anni) è già oltre quota 100. Già allora trovare i soldi per coprire il nostro disavanzo statale comincia a costarci un po’ di più di quanto non costi ai tedeschi, considerati i bravi, i primi della classe.

Che cosa è successo? Quello che si è detto poche righe più sopra e che continua tuttora: vista la crisi finanziaria mondiale, i mercati si sono fatti più diffidenti. Scrutano la realtà italiana (c’è Berlusconi al governo e Tremonti al timone dell’economia), guardano i conti e cominciano a diventare diffidenti. Il debito è gigantesco (largamente sopra l’ammontare del Pil) e non si vedono drastiche misure di contenimento.

Per prestarci i soldi, quindi, gli operatori (fondi, banche d’affari, ecc.) vogliono interessi più alti. Purtroppo, quello è solo l’inizio. Se il 2009 scorre via abbastanza tranquillo, con uno spread che viaggia fra quota 100 e quota 150, nel 2010 si comincia a ballare sul serio. Al punto che all’inizio del nuovo anno, il 2011, l’anno fatale, lo spread si trova già vicinissimo a quota 200.

Poi tutto accelera. E si va oltre quota 300, prima, e poi si sfora persino quota 400.

All’inizio di novembre c’è il G20 di Cannes, in cui Berlusconi e Tremonti cercano di con vincere gli altri capi di Stato che l’Italia si sta comportando bene, ma non ci riescono.

Intorno a quel G20 è nata tutta una letteratura e ognuno ne dà la propria versione. E’ il G20, tanto per intenderci, in cui la Merkel e Sarkozy, al nome di Berlusconi, fanno il famoso sorrisetto ironico, come a dire: ma è un poveretto, non lo state a sentire. Fra le tante cose che si dicono su quella riunione c’è anche chi sostiene, e forse è vero, che la signora Merkel abbia fatto pressioni perché di fatto l’Italia venisse commissariata e messa sotto la tutela della Troika (Fondo monetario, Ue, e Bce).

I nostri rappresentanti si oppongono e tornano a casa. Intanto, lo spread continua a correre. Fino a quando si arriva al giorno della verità: il 9 novembre. In quella data (al governo ci sono ancora Berlusconi e Tremonti) lo spread tocca il massimo di quota 574, anche se questo è solo un valore intraday. La chiusura sarà poi a quota 553.

In tempi successivi, Berlusconi e i suoi amici diranno che si è trattato di una mega-complotto per fare fuori il premier italiano: le banche tedesche avrebbero venduto montagne di titoli italiani per far salire lo spread. Ma quasi certamente le cose non sono andate così. In quei giorni tutti vendevano i titoli italiani per la semplice ragione che ci si fidava sempre meno dell’Italia. Il debito era enorme, continuava a crescere e non si vedevano misure di rientro, di ravvedimento.

La crisi, a questo punto, non può più essere nascosta. E il 12 novembre del 2011 Berlusconi rassegna le dimissioni. Due giorni dopo lo spread sale a quota 492.

Il 16 novembre arriva Monti, che nel giro di qualche settimana fa una profonda riforma delle pensioni. I mercati respirano e lo spread continua a scendere. Continua a calare con il governo Letta e quando arriva Renzi, la discesa va avanti. A aiutare c’è anche il fatto che in Europa sta arrivando molto denaro “caldo” dalle economie emergenti. Pochi giorni fa si arriva poco sopra i 100 punti di differenza con i Bund tedeschi, grosso modo si torna ai livelli del 2009. A prima dell’inizio dell’esplosione della crisi italiana.

Poi, giovedì e venerdì scorso, lo spread vola su di 30 punti, portandosi oltre quota 180. Come mai? Due gli elementi.

Il primo viene dall’Istat, che segnala come nel primo trimestre la “ripresa” italiana sia andata indietro invece che avanti.

Il secondo viene dal governo, che ha annunciato tantissimi buoni propositi, ma che non pare sia intervenuto seriamente su rilancio della crescita (infatti si va indietro) e soprattutto sul contenimento del disavanzo.

Con un debito pubblico complessivo che sfiora i 2200 miliardi di euro, è evidente che i mercati entrano in allarme