“Tessere Pd: 5€ a partito, 15 a nuovi ignari iscritti”. Marincola su Messaggero

di Redazione Blitz
Pubblicato il 12 Dicembre 2014 - 12:58 OLTRE 6 MESI FA
"Tessere Pd: 5€ a partito, 15 a nuovi ignari iscritti". Marincola su Messaggero

Matteo Orfini (Foto LaPresse)

ROMA – Cinque euro dei 20 del tesseramento al Pd andavano al partito, gli altri 15 per i nuovi iscritti, forse ignari di esserlo. Claudio Marincola sul Messaggero parla del business delle tessere del Pdmentre il commissario romano Matteo Orfini scandisce i tempi: per rimettere a posto la situazione ci vorranno due mesi. Il problema, spiega Marincola,è che le sezioni del Pd non erano tenute a rendicontare e che alcune sedi erano aperte un solo giorno l’anno.

Claudio Marincola sul Messagero riporta le parole di Orfini:

«Dobbiamo parlare con gli 8 mila iscritti ai circa 100 circoli, dobbiamo incrociare i dati e leggere che c’è qualcosa che non va se in un circolo si sono iscritti in 100 nello stesso giorno. Con i tesserati faremo dei colloqui politici perché magari molte persone non sanno nemmeno di essere iscritte». Due mesi di tempo per ridisegnare il partito.

Dopo i “signori delle tessere”, come li definisce Marincola, sono arrivati i “padroni dei circoli”:

“Finite le elezioni, congressuali, primarie o parlamentarie, si sono portati via le chiavi. Ed eccoli i circoli fantasmi, chiusi tutto l’anno (tranne un giorno), la moltiplicazione delle tessere, i nomadi di via Candoni arruolati per pochi euro. Accuse di brogli, transumanza, triplo salto mortale da una corrente. Scrive Morassut che da ex segretario, il partito romano lo conosce bene: «Da troppi anni la politica è stata espulsa dalle nostre stanze, sostituita dalle tribù e per troppo tempo la battaglia di cha ha segnalato e documentato distorsioni è stata sottovalutata e persino combattuta»”.

Ora il Pd ha bisogno di una terapia d’urto, continua il giornalista del Messaggero, e il “terapista” designato è l’ex ministro Fabrizio Barca:

“che questo lavoro lo aveva cominciato per proprio conto e senza che nessuno gliel’avesse chiesto. Un viaggio in l’Italia per raccontare quello che restava della sinistra e del Pd. E in tempi non sospetti: mentre 11 milioni e 231 mila italiani consegnavano le chiavi di palazzo Chigi a Matteo Renzi ma solo uno su 110 aveva in tasca la tessera del partito. La tessera costa 20 euro, 5 vanno alla federazione, 15 restano in tasca al circolo. E se il circolo, come spesso accade, è un comitato elettorale mascherato, vengono riciclati per cooptare un nuovo iscritto. Comanda chi ha le chiavi e gestisce il blocchetto delle tessere. Per non parlare delle anomalie delle iscrizioni online”.

A Barca spetta l’arduo compito di “costruire una mappatura dei circoli romani”, scrive Marincola:

“Proverà a ricostruire il partito, a spiegare «come si sta insieme e in alcuni casi a segnalare quei circoli che sono già un’eccelenza». Morassut, ex assessore all’Urbanistica ai tempi di Veltroni, che il il tesseramento venga rifatto «da cima a fondo», che «l’assemblea cittadina venga sciolta per indire indire un nuovo congresso». Parole che valgono per Roma, dove ora si parla di mafia, ma anche per l’Italia dove la pantomina dei «congressi finti» e dei confronti «finiti 100 a zero» dura ormai da troppo tempo. Impresa mica da poco.

Fino a qualche giorno fa nelle poche sedi che non hanno blindato al saracinesca si discuteva del problema opposto. Di come arrestare l’emorragia d’iscritti, meno di 100 mila in tutta Italia. Magro bottino per chi aspira al partito della nazione. Ed ecco che invece all’improvviso ci si accorge di qualcosa che sapevano tutti. Che a guidare la locomotiva elettorale sono sempre gli stessi, i capicorrente: Umberto Marroni, Claudio Mancini, Massimiliano Valeriani.

Marco Di Stefano, finito nel ciclone degli affitti d’oro della Regione Lazio, aveva fama di ras ma in realtà controllava una piccola percentuale di circoli. E quando cercò una donna-candidato per andare in ticket e garantire la quota rosa nessuna si disse disponibile. «Mi trattarono come un corpo estraneo», si lamentava. Pensava di essere fuorigioco, 23esimo con 2700 preferenze e premeva per essere ripecascato”.

E lo schema si è ripetuto alla primarie, ai congressi e alle parlamentarie, prosegue Marincola:

“Mauro Miccoli, segretario romano dal dicembre del 2010 all’aprile del 2013, lo ammette, «abbiamo trasferito troppo potere agli amministratori e indebolito il partito. Da segretario contavo poco, alle primarie ho preso poco di più di 4000 voti, meno di Giachetti e anche dello stesso Morassut. Un’altra prova? Nelle 70 mila e 300 pagine dell’informativa dei Ros, quella in cui Carminati e Buzzi vengono intercettati, il mio nome non esce una sola volta. Qualcosa vorrà pure dire o no?».

E già. Perché «se in quell’informativa non ci sei – è la battuta che circola – se il tuo nome non spunta in nessuna intercettazioni allora vuol dire che non conti un c…. « un paradosso ma è cosi, l’ho sentito dire», riprende Miccoli, che da segretario ha gestito un congresso e le primarie prima di dimettersi per «incompatibilità» prima di approdare alla Camera. Nel 2009 ci fu il boom: 27 mila iscritti. «Ci portavamo dietro i vecchi di esse ma gli abbiamo persi strada facendo, adesso dobbiamo ripartire»”.