ROMA – “Gluten free“, o “senza glutine”, è la giusta e preziosa informazione sull’etichetta di un prodotto alimentare ma solo, ed è paradossale doverlo specificare, a condizione che quel prodotto sia fra quelli che potrebbero davvero contenere quel complesso proteico di alcuni cereali, il glutine appunto, che fa male a chi soffre di celiachia. Ora, per essere più chiari, che c’azzecca il glutine con il tè? O con il formaggio? O, peggio, con l’acqua minerale?
Uno su tre acquista gluten free senza essere celiaco
Eppure, gluten free è diventata una specie di moda, una sorta di falsa rassicurazione con il potere però di rassicurare, una superstizione. E alcune aziende più spregiudicate ne approfittano. Sanno che, per esempio, dei 320 milioni di euro spesi complessivamente nel 2016 in prodotti per celiaci privi di glutine, più di cento milioni sono usciti dalle tasche di clienti per nulla intolleranti.
Ma che, grazie al martellamento del marketing, sono stati indotti a pensare che comunque gluten free è un po’ meglio, più sano, più moderno, forse. L’ultimo caso, segnalato da un lettore del sito specializzato Il Fatto Alimentare e riferito da Repubblica, riguarda un tradizionale formaggio svizzero che vantava di essere gluten free. Ma c’è il caso del tè: non è una leggenda metropolitana, tre importanti marche italiane segnalano in etichetta l’assenza di glutine. Non è un’indicazione innocente, in teoria sarebbe vietata.
“Fake transparency”
Il regolamento europeo 828/2014 ricorda che “le informazioni sugli alimenti non dovrebbero indurre in errore suggerendo che l’alimento possiede caratteristiche particolari, quando in realtà tutti gli alimenti analoghi possiedono le stesse caratteristiche”. Nel caso del tè, dell’acqua minerale, del formaggio si scivola nella “fake transparency”, una balla realizzata per eccesso di informazione. Dice, ma tanto mica fa male? Sì, però, a parte la presa in giro del consumatore, l’azienda che correttamente non scrive gluten free viene penalizzata sulle scelte di acquisto davanti agli scaffali. Ed è commercialmente sleale. (fonte La Repubblica)